La Stampa 4.11.15
Renzi strapazza la minoranza: io non condanno il Pd al suicidio
“Se avete nostalgia della sinistra che diceva anche i ricchi piangano, non è la mia linea”. Oggi D’Attorre e altri due lasciano il partito
di Carlo Bertini
Vedrete che Matteo strapazzerà Bersani e compagni», era la previsione dei renziani in Transatlantico prima dell’assemblea dei gruppi Pd sulla legge di stabilità. E difatti, a parte un siparietto gustoso, il copione va in scena con colpi a effetto. Renzi arriva con un cadeau per Bersani, un sigaro Romeo y Julieta preso a Cuba apposta per l’ex leader. Lo cerca tra i banchi dell’auletta dei gruppi, ma Bersani è in ritardo, allora lo consegna a Roberto Speranza per farglielo dare dopo. E poi parte in quarta: «La legge di stabilità è una legge sulla fiducia, è un’accelerata decisiva. Ed è di sinistra come la nostra impostazione. Non è che la ditta è di sinistra se il congresso lo vince Tizio o Caio. Cari amici e compagni, le regole e la disciplina di partito valgono sempre o non valgono mai». Rivendica l’azione del governo nella lotta all’evasione, ma si dice disponibile ad ascoltare le proposte sul tema che vengono dall’associazione Nens, quella fondata dallo stesso Bersani e da Vincenzo Visco.
Ma le concessioni finiscono qui: dice che su sanità e sociale si investe più di prima, «demagogia dire che sulla sanità mettiamo meno soldi. Non c’è presidente di Regione che guadagni meno del premier». Che abbassare le tasse non è una manovra elettorale, ma che lui non vuole «condannare il Paese alla stagnazione». Difende l’innalzamento del tetto sui contanti, perché non è dimostrato vi sia correlazione con l’evasione. Ma è sulle tasse che batte e ribatte: «L’82% dei proprietari di prima casa è costituito da pensionati, dipendenti o disoccupati. Si può dir tutto, ma non che togliere la tasi aiuti i più ricchi. Se volete un premier che alzi le tasse, cambiate paese o cambiate premier». E rivolto alla minoranza: «se qualcuno ha nostalgia della sinistra che diceva “anche i ricchi piangano”, sappia che non è la mia linea. Io non condanno il mio partito al suicidio né il mio paese alla stagnazione». Lancia la sfida ai compagni dunque: «Si faccia il congresso e si veda chi è in maggioranza».
Legge un intervento scritto, venendo meno alla sua abitudine di parlare a braccio e fa precedere l’appuntamento con i suoi parlamentari da una bordata contro quelli che se ne vanno: destinatari indiretti stavolta sono i deputati Alfredo D’Attorre, Vincenzo Folino e Carlo Galli, che oggi usciranno dal Pd verso la «cosa rossa» che si andrà costituendo in Parlamento con gruppi unici con Sel. «Chi va a raggiungere Landini, Camusso, Vendola, Fassina faccia pure. Io non seguo la logica del vecchio Pci: mai nemici a sinistra. Se si vuole militare in una sinistra di testimonianza, d’accordo. Ma, con questa sinistra, certo non si può governare».
Nell’auletta dei gruppi, annuncia poi che sul referendum del 2016 del sì o no alla riforma costituzionale «poggia l’esistenza del governo: è l’impegno più rilevante»; analizza «la catastrofe politica del centrodestra», con Berlusconi che «chiude la sua parabola con il sì alla Lega». Ma assesta un altro colpo alla sinistra, perché «l’operazione che stanno tentando anche nostri compagni di viaggio è densa di ideologismo. È tempo di riforme e non di proclami. Le prossime elezioni si vincono in periferia non nei salotti e non c’è misura per far diminuire la povertà più efficace della crescita». Con un avviso, «i nemici non siamo noi, non facciamo il gioco degli altri».
Un copione andato in scena senza il controcanto di Bersani. Cuperlo dice la sua, ma con Speranza risponderà nei fatti giovedì carte alla mano: quando verrà presentato il pacchetto di emendamenti - la «contromanovra» su tasi, tetto al contante e misure per il sud - delle sinistre Pd unite. Nella lotta ad una legge di stabilità che così com’è non va, ma che alla fine la voteranno.