lunedì 30 novembre 2015

La Stampa 30.11.15
La concubina del Papa tradita dal Pinturicchio
Esposto a Cortina, Il Bambin Gesù delle mani riapre il giallo dell’opera commissionata da Alessandro VI Borgia con la sua amante Giulia Farnese nei panni della Madonna
di Marco Vallora


Torna a far parlare di sé, dopo un tour al Guggenheim di New York e al Museo Maillol di Parigi, dove si è tenuta una mostra sui Borgia, un piccolo ma prezioso frammento di pittura raffinata, che conserva una sua aura di leggenda leggermente sulfurea, che forse ancora dovrebbe esser investigata, ma che mantiene comunque una sua carica romanzesca, degna d’esser riattraversata. E c’è l’occasione adesso di riverificare il «giallo», dal vivo, al Museo delle Regole di Cortina, dove il dipinto rimarrà esposto da domani al 31 gennaio (dopo una fugace apparizione romana anni fa, a Palazzo Venezia), in seguito all’acquisto nel mondo antiquariale, da parte della perugina Fondazione Giordano.
Già il titolo di quest’opera «ritagliata» è misterioso: Il
Bambin Gesù delle mani, o addirittura, rompicapo quasi surrealista: «delle cinque mani». Viene in mente la demonica fotografia di Lucien Clergue di Cocteau, in cui il polimorfo scrittore-regista-pittore agita insieme cinque o sei mani rotanti. A dire la sua simultanea versatilità, da dea Kalì parigina. E invece il Bambino in questione, paffuto e benedicente, è uno stacco d’affresco a massello, attribuito al Pinturicchio, pittore umbro, riconoscibile nell’eleganza delicata dei tratti fisiognomici, degni d’un miniaturista qual era, attardato nostalgico dello splendore del Gotico Internazionale, fiammeggiante.
Ma di chi è quella mano affusolata e spiccata dal resto del corpo cancellato, che accoglie nel proprio palmo, quasi fosse una conchiglia adorante, il piedino pienotto del Bambino, che trattiene a fatica un globo regale, con già incastonato un Crocefisso monitore?
Il mistero della quinta mano
Potrebbe a vero dire trattarsi anche della mano d’una santa adorante, per esempio di Caterina, in uno dei suoi tanti «matrimoni mistici», e sarebbe più conforme, religiosamente, visto che il privilegio di toccare il corpo sacro era prerogativa di santi, martiri o al massimo dei Re Magi. Ma da anni un professore perugino, Franco Ivan Nucciarelli, ritiene invece, forse a causa delle ombreggiature più scure della quinta mano, trattarsi inequivocabilmente d’una mano maschile, «ben curata» da abile manicure, ed essere addirittura la mano dello «splendido ma dissoluto», secondo Maria Bellonci, papa Alessandro VI. Il papa d’origine spagnola Rodrigo Borgia, simbolo-principe del nepotismo più sfacciato (fu lui a scomunicare il Savonarola, poi a condurlo al rogo; mentre a Wittenberg il monaco agostiniano Martin Lutero affilava le sue armate tesi contro il clero corrotto di Roma).
È noto che nelle sue Vite il Vasari, che disprezzava apertamente il «Pintoricchio», accusandolo addirittura di «dappocaggine», in un passo rilevava: «Ritrasse sopra la porta di una camera la signora Giulia Farnese per il volto di una Nostra Donna, e, nel medesimo quadro, la testa d’esso Papa, Alessandro, che l’adora». Non pare scandalizzarsi, lo storico aretino, che pure attribuisce tutte le colpe possibili al pittore umbro, con un’animosità che nemmeno il suo rivalutatore, Enzo Carli, sa spiegare: lo accusa di non conoscere la prospettiva (e non è vero), di abusare d’oro e di rilievi ornamentali, «il che è cosa goffissima nella pittura». Di aver praticamente «rubato» i cartoni, al giovane corregionale Raffaello, per la sua opera maggiore, gli affreschi della Biblioteca Piccolomini a Siena (in onore al papa Enea Silvio, che aveva in odio il Borgia, «gramo nel corpo e forse anche un po’ minorato sordicchio», «pintoricchio» non tanto perché pittorucolo, ma perché piccolo di statura e sgraziato.
La «damnatio memoriae»
Un destino di eterno secondo: tenace, poco fortunato, e schiacciato da giganti, di nome Perugino, Raffaello, Michelangelo. Che, disinvoltamente, cancellò nella Sistina alcuni suoi curati affreschi. Servile al papa Borgia inoltre, ma ritenuto non così blasfemo dal Vasari, d’aver ritratto, sotto spoglia della Madonna, la sua amata, come era costume diffuso tra molti porporati, che sotto aspetto mitologico esaltavano morganatiche e amasi.
Qui è in gioco però la discussa Giulia Farnese, sposata per procura al guercio «monoculus Orsini», per restare amante del Papa (che leggenda vuole tenesse ascosa in una sorta di harem, anche incestuoso): la cosiddetta «concubina Papae» o, ironicamente, la «sponsa Christi». Allora non stupisce che il papa successore, dei Chigi senesi, abbia voluto infliggere una «damnatio memoriae» alla scandalosa effigie, che persino Rabelais visitò e che pare fosse occultata da un velo (come poi accadde con la Lezione di chitarra di Balthus o l’Origine del mondo di Courbet, acquistata dal dottor Lacan e velata da una «copertina» di Masson): asportando l’affresco e salvando il Bambino.
Leggenda però vuole che i nemici Gonzaga avessero già inviato un pittore di corte a documentare quello scandalo religioso, ottenuto regalando un paio di calze di seta a una guardia corrotta. La copia, modesta, esiste, a firma di Pietro Facchetti, e non è che la Madonna sia così avvenente, ma questo permise, nel ’46, al conte Incisa della Rocchetta (di famiglia Chigi) di ricostruire il puzzle, che ripropone oggi, alla nostra attenzione, questo «giallo» iconografico, che pone ancora molti quesiti: che cosa è quella sorta di recinto-sarcofago, che compare accanto alla quinta mano? E quale castello viene ritratto sullo sfondo? Ma soprattutto, dopo gli interventi secenteschi di Alessandro VII, è ancora possibile ritrovare negli Appartamenti Borgia traccia collimante di quella lacuna?