giovedì 26 novembre 2015

La Stampa 26.11.15
Dall’Artico al Medio Oriente
La continua sfida degli aerei russi alla Nato
di Stefano Stefanini


Il tempo di un tweet, diciassette secondi, separa il torto dalla ragione fra Mosca e Ankara. È impossibile che l’abbattimento del Sukhoi Su-24 sia stato una decisione politica: non c’era tempo. Non c’era tempo di distinguere un velivolo russo da uno siriano. Le decisioni politiche erano già state prese: dalla Turchia, con i protocolli sulle violazioni di spazio aereo; dalla Russia, spingendo i voli al limite di una linea invisibile. A quelle velocità 1,15 miglia è… niente.
Gli aerei russi mettono continuamente alla prova la Nato. Lo fanno nei cieli della Scozia e dell’Artico, fermandosi alla soglia dell’incidente. In Anatolia si trovano su un teatro bellico. I turchi avevano già abbattuto un velivolo russo poche settimane fa; era un drone, tutti avevano respirato di sollievo. Nel marzo del 2014 era toccato a un aereo siriano.
I due uomini forti, Putin e Erdogan, sono scesi all’O.K. Corral: nessuno ha battuto ciglio per primo e il colpo è partito. Troppo presto per valutare le conseguenze sulla coalizione anti-Isis e sulla crisi siriana. Mai troppo tardi per prendere misure per evitare altri incidenti, anche più gravi. Da quando sono cominciate le operazioni russe in Siria, i militari vanno chiedendo accorgimenti per «de-conflittualizzarle» rispetto a quelle della coalizione. Qualcosa è stato fatto dagli americani, adesso dai francesi. Non abbastanza.
In Siria, con o senza grande alleanza, s’intensificheranno intensità e frequenza delle operazioni. Si metteranno in movimento truppe di terra. Il fuoco amico è in agguato nelle meglio organizzate campagne militari. Figuriamoci in un teatro in cui i comandi sono separati, gli spazi operativi s’intersecano e il nemico è una galassia con molte zone d’ombra. Bisogna prevenire l’inerzia che ha meccanicamente trascinato Turchia e Russia nell’incidente.
In Europa non ci sono analoghe frizioni operative, ma i militari Nato e russi devono potersi parlare quando necessario. Prendiamo esempio dai norvegesi che hanno mantenuto una «linea rossa» nell’Artico. In territorio Nato e russo ci sono esercitazioni, massicce quelle russe, a ridosso dei rispettivi confini. E ci sono armi nucleari. La dottrina militare russa ne contempla l’uso «tattico», cioè sul campo di battaglia.
Gli ostacoli alla comunicazione sono politici, non militari. Ma se la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai generali (Clemenceau), la pace è una cosa troppo importante per essere affidata solo ai politici. Che, per ignoranza dello strumento militare, rischiano di mettere in moto dinamiche che non controllano. Se lasciassero parlare i militari fra loro un po’ più spesso preverrebbero il danno.