lunedì 23 novembre 2015

La Stampa 23.11.15
L’Argentina volta pagina. Macri verso la presidenza
Gli exit poll danno in grande vantaggio il sindaco di Buenos Aires
Dopo il decennio dei Kirchner si prepara una svolta pro mercato
di Filippo Fiorini


La domanda era semplice e l’Argentina ha risposto in modo chiaro: è tempo di cambiare pagina. Il candidato neoliberale Mauricio Macri è stato scelto come prossimo presidente in modo pressoché unanime dalle Ande alla Tierra del Fuego e, con la sua vittoria, finiscono 12 anni di governo marchiati dal cognome Kirchner, un’amministrazione peronista che ha portato il Paese fuori dalla crisi del default, ma che oggi ha pure rimesso la crescita al punto zero, insistendo con la propria ricetta socialista e abbandonandosi a una grave corruzione.
Sconvolti i pronostici
Il cambiamento che dà il titolo alla coalizione del due volte sindaco di Buenos Aires, che ora attraversa la Plaza de Mayo ed entra alla Casa Rosada, è iniziato quasi a sorpresa un mese fa, quando la sua proposta ha sconvolto il pronostico, ricevendo al primo turno pochi voti in meno del candidato peronista Daniel Scioli. Si preparava il primo ballottaggio della storia elettorale argentina e, allo stesso tempo, si preparava anche la storica sconfitta di una compagine imbattibile da tre mandati.
Alla luce degli exit poll, che al momento di andare in stampa devono ancora essere confermati dai primi risultati ufficiali, l’errore della presidente uscente Cristina Kirchner sembra essere stato quello di scegliere un candidato tiepido, per compensare gli eccessi di una squadra composta dai quadri più radicali del suo partito, quelli che l’elettorato non poteva che amare o detestare.
I voti di Massa
Fondamentali per completare l’impresa di Macri, sono stati i voti della terza minoranza elettorale e dei partiti piccoli esclusi dalla seconda tornata. La forza guidata dall’ex capo dei ministri kirchnerista, Sergio Massa, ha preso il 20% dei voti con un programma peronista di destra. Ieri, i suoi 4 milioni di elettori sembrano aver preferito votare la destra, piuttosto che il peronismo.
In Argentina esiste la leggenda per cui nessun governatore della provincia di Buenos Aires potrà mai diventare presidente, perché il palazzo di governo è costruito su un vecchio cimitero indiano. La sconfitta di Scioli ha confermato questa maledizione in vigore da quasi un secolo e ora bisognerà vedere se Macri saprà sfatare quella per cui nessun presidente non peronista ha mai concluso il proprio mandato, che dura appena da 70 anni.
Dalla parte dell’ingegnere 56enne che è stato presidente di un glorioso Boca Juniors, ci sono le imprese, il ceto medio, l’alta borghesia, gli artigiani, i negozianti, i contadini e i maggiori sindacati. Costoro avrebbero composto il 54% delle preferenze che il partito Pro si sarebbe aggiudicato nello scrutinio di ieri.
Da parte loro, ci sarebbe un mandato di fiducia garantito per alcuni mesi, in modo che i tecnici del nuovo governo possano far cambiare rotta al Paese, usando il proverbiale senso pratico che hanno usato per amministrare Buenos Aires negli ultimi otto anni. All’orizzonte, però, si affaccia la temibile austerità, la svalutazione e il freno agli aumenti salariali che economisti più o meno critici segnalano come inevitabile.
Macri ha giurato che non metterà mano alle tasche degli argentini e che nemmeno toccherà i sussidi con cui Cristina Kirchner sosteneva i più poveri. Da qui, potrebbe sorgere il malcontento contro un uomo non del tutto nuovo, chiamato finalmente ad affrontare la sfida per cui si è preparato per tutta la vita.