sabato 21 novembre 2015

La Stampa 21.11.15
Consulta, il gioco degli interessi
di Ugo De Siervo


Speriamo davvero che il nostro Parlamento riesca finalmente a eleggere i tre nuovi giudici costituzionali che finora non è riuscito a designare, malgrado il lungo periodo trascorso. È vero che per eleggere un giudice occorre conseguire il voto di almeno il sessanta per cento dei parlamentari, ma siamo ormai in presenza di una situazione seria e grave. La Corte Costituzionale, infatti, lavora ormai da troppo tempo a ranghi ridotti.
E addirittura rischia di non poter funzionare, essendo obbligatoria la presenza di almeno undici giudici perché essa possa esercitare le sue funzioni giudiziarie: non solo basterebbe l’assenza di due giudici in carica per impedirle di decidere, ma comunque ogni decisione presa da un collegio giudicante in cui i giudici designati dal Parlamento sono ridotti da 5 a 2 altera il delicato equilibrio fra i giudici costituzionali di diversa provenienza (gli altri vengono designati – come noto - dal Presidente della Repubblica e dalle supreme magistrature).
Il problema è sorto ormai da tempo per le designazioni del Parlamento, perché sembra che i parlamentari si siano specializzati in tecniche di interdizione delle varie candidature, piuttosto che nella ricerca di buoni candidati sulla base di intese fra i diversi gruppi parlamentari ed anche fra le loro componenti interne: perfino quando – come negli ultimi trent’anni - il Parlamento doveva eleggerne contemporaneamente due o tre, così rendendo più facile scelte equilibrate, si è dovuto attendere molto a lungo (due anni o poco meno) per superare veti e preclusioni di ogni tipo. E’ vero che alcune volte si è assistito a iniziali candidature discutibili, ma la vera difficoltà emersa è stata spesso quella dell’assoluta indisponibilità dei gruppi di opposizione a confluire con i gruppi di maggioranza per motivi strumentalmente politici. E ciò senza considerare le correnti interne ai gruppi.
In selezioni di questo tipo la necessità di maggioranze qualificate, superiori alla stessa maggioranza assoluta dei parlamentari, dovrebbe spingere le forze di maggioranza a nominare anche giudici designati dalle forze di opposizione e ad indicare candidati indipendenti e largamente apprezzati.
Questa palese e prolungata difficoltà dei gruppi parlamentari a superare i loro interessi particolari pur nella nomina di cinque giudici costituzionali, deve far temere molto per l’ improvvisata proposta di modificare le maggioranze necessarie per eleggere il Presidente della Repubblica: come noto, infatti, nel disegno di legge di revisione costituzionale che attualmente si dice essere destinato a rapida approvazione finale, si prevede che il Presidente della Repubblica debba essere necessariamente eletto da una maggioranza di voti pari al 60% dei componenti della Camera (dalla nona votazione basterebbe il 60% dei deputati, ipotesi che peraltro anch’essa dipenderebbe dalla volontà di parte delle opposizioni di non partecipare al voto).
La nomina del Presidente della Repubblica, non prevedendosi alcuna ipotesi alternativa, dipenderebbe quindi dall’assenso di parte dei gruppi politici dell’opposizione, che quindi disporrebbero di un potere insuperabile di veto. Ma allora, anche sulla base dell’esperienza concreta fatta per tanti anni in relazione alla nomina dei giudici costituzionali, c’è seriamente da temere che, salva l’ipotesi di una maggioranza arrendevole ai condizionamenti od ai ricatti, si possa verificare un lungo o lunghissimo ritardo nella nomina del massimo organo di garanzia politica del nostro sistema costituzionale, solo molto più debolmente supplito dal Presidente della Camera (come prevederebbe la Costituzione mutata).
Appare paradossale che una riforma del genere sia stata motivata dalla volontà in tal modo di rafforzare gli strumenti di riequilibrio del temuto eccessivo potere del governo dopo la nuova legge elettorale e l’eliminazione del Senato dal circuito fiduciario: al contrario, ne potrebbe derivare un forte indebolimento dei poteri presidenziali ove il Presidente della Repubblica fosse eletto in modo compromissorio o addirittura ove dovesse essere sostituito per un periodo indeterminato da parte del Presidente della Camera, che normalmente viene designato dalla maggioranza politica.