La Stampa 16.11.15
Elisabetta Gualmini, vicepresidente della regione Emilia-Romagna
«Rischiano di esser preda dell’elettorato grillino»
intervista di Francesco Maesano
Nella sua vita precedente analizzava i dati della politica come presidente dell’istituto Cattaneo. Oggi Elisabetta Gualmini è vicepresidente della regione Emilia-Romagna e non rinuncia al piglio da ordinario di scienza politica.
Che fa, si candida sindaco di Bologna?
«No, stiamo facendo cose importanti e non intendo lasciare la Regione».
Che ne pensa di quel 5,5 per cento di voti probabili per Sinistra Italiana?
«Era la percentuale che ci si aspettava per un’operazione settaria, che manca di leadership ed è poco comprensibile per i cittadini rispetto a un’uscita in blocco».
Però non è male andare oltre il 5 alla prima rilevazione.
«Il rischio è che quel 5 per cento sia territorio di caccia per il M5S. D’altra parte ritengo che sia una sopravvalutazione assegnare loro il 21 per cento di elettorato potenziale. Come nel passato questa è un’operazione destinata alla testimonianza e alla mobilitazione. Non riuscirà a governare se non in cartello con altre forze».
Ma proverete a governare insieme, almeno a livello locale?
«In alcuni territori è ovvio governare con la sinistra, in altri ci possono essere soluzioni diverse».
Un partito liquido aperto anche all’elettorato di centrodestra?
«Al centrodestra no. Diciamo alle liste civiche moderate».
Cambia molto?
«Sì, è possibile avere schemi di gioco che mutano, ma col Pd che fa da baricentro, restando comunque il partito pivot che si allea di volta in volta con dei partitini satellite. Dipende dalla tradizione politica e dalle caratteristiche del territorio. Per provare a vincere occorre costruire degli schemi adeguati».
Quindi secondo lei il M5S, rifiutando le alleanze, non vincerà mai?
«Loro continuano ad essere un soggetto altamente competitivo per il Pd e viceversa. Hanno chance di crescere a livello locale, dove si stanno consolidando. Se rimane il premio di lista il M5S è favorito sul centrodestra per accedere al ballottaggio. Teorizzando di non fare alleanze potrebbe tranquillamente puntarci. Se l’Italicum dovesse cambiare sarebbe diverso».
Lei lo cambierebbe l’Italicum?
«No, io non lo metterei in discussione. C’è bisogno di un meccanismo di ingegneria istituzionale che scremi via via, nel corso della competizione elettorale, da tre a due soggetti e poi a uno. Sennò addio governabilità».
Se resta il premio alla lista però la nuova destra dovrà prima unirsi in un unico partito.
«Certo, dovrebbero unirsi. Ma lo stesso vale per il centrosinistra. Non è che la diaspora possa durare in eterno».