venerdì 13 novembre 2015

La Stampa 13.11.15
Cambia il vento: anche la Svezia è meno generosa


Al terzo giorno della sua nuova vita svedese, l’eritreo Jimy Petros ha accusato un fastidioso prurito alla schiena. È uscito dal centro per richiedenti asilo di Gävle strisciando un badge, ha attraversato la strada principale di un ordinatissimo quartiere periferico, ed è entrato in farmacia, così come gli avevano spiegato di fare. La dottoressa era già stata informata del suo arrivo. La tessera magnetica ha confermato l’identità. Aveva diritto a una visita specialistica, che si è svolta subito in una sala medica adiacente: per fortuna era un eritema, non scabbia. Jimy Petros è uscito dalla farmacia con una pomata lenitiva in un sacchetto, ed è andato a mangiare un hamburger in un bar dove poteva seguire in diretta la partita del Manchester United, la sua squadra del cuore.
Questo è solo un piccolo esempio per spiegare perché la Svezia sia stata fino al 2014 il Paese più sognato dai migranti. E il più accogliente: 317 domande accettate ogni 100 mila abitanti propri. Assistenza sanitaria gratuita, cibo gratuito, scuola obbligatoria, novanta dollari al mese per le piccole spese personali.
Ma nel 2015 la Svezia è stata scavalcata dalla Germania. È successo ai primi di settembre, quando la cancelliera Angela Merkel, di fronte alle immagini di 5 mila profughi bloccati da giorni alla stazione Keleti di Budapest, ha pronunciato le parole che sembravano destinate a cambiare l’Europa: «La Germania accoglierà tutti i profughi siriani che faranno richiesta di asilo politico». Fino a quel giorno, il trattato di Dublino vincolava la procedura a una regola precisa: dove sbarchi, fai domanda. Tutto il peso era schiacciato addosso ai Paesi di confine: Italia, Grecia e Malta. Almeno in teoria. Perché in pratica i migranti lottavano disperatamente per aggirare quel trattato, viaggiando clandestinamente, pagando altri trafficanti, pronti a tutto pur di raggiungere i Paesi sognati.
Ma essere il sogno di qualcuno è dispendioso. Non si tratta soltanto di corrispondere alle aspettative di quelli come Jimy Petros. La generosità costa. È una questione economica e politica. Persino in Svezia, forse il Paese più tollerante e moderno d’Europa, qualcosa sta cambiando. Tre giorni fa un edificio destinato ai rifugiati nel comune di Floda è andato completamente distrutto in un attentato incendiario. È l’ennesimo caso. C’è sempre qualcuno pronto a soffiare su quel genere di fiamme. In tutta Europa crescono i consensi dei partiti xenofobi. Democratici Svedesi, una formazione con radici neonaziste, secondo i sondaggi sarebbe al 20 per cento.
Ieri il governo svedese ha ripristinato i controlli alle frontiere. La stessa Germania si è rimangiata le parole della sua cancelliera, rallentando i flussi in entrata. L’Inghilterra - un altro sogno - ha concordato un piano con la polizia francese per rinforzare i controlli a Calais, dove i migranti tentavano di passare attraverso l’Eurotunnel. Il risultato è aver creato una baraccopoli con 7 mila persone bloccate in un limbo.
E se i Paesi sognati si chiudono, altri si stanno addirittura barricando dentro i propri confini. Prima l’Ungheria di Viktor Orbàn, ora la Slovenia: muri di filo spinato, esercito e cani da guardia. Poche altre storie hanno avuto il potere di svelare l’inconsistenza dell’Unione Europea. Ogni governo continua a gestire il Grande Esodo guardando al suo pezzo di terra, nel bene e nel male, cercando di non perdere troppo consenso.