La Stampa 13.11.15
Saskia Sassen: l’istruzione è il futuro delle megalopoli
La sociologa newyorkese : “Solo con il capitale umano si potrà ridurre l’attuale polarizzazione tra ricchi e poveri”
intervista di Paolo Mastrolilli
Investire nel capitale umano, e quindi nell’istruzione, ma a tutti i livelli: dalle università, alle scuole artigianali. È la strada obbligata per costruire il futuro delle grandi città, secondo la sociologa della Columbia University Saskia Sassen, che ha appena pubblicato il saggio Espulsioni con Il Mulino, e domani interverrà al festival dell’Educazione di Torino con un discorso intitolato La città come ecosistema formativo.
Le grandi città attirano lavoratori a specializzazione alta e bassa. Quale ruolo ha il capitale umano nel loro sviluppo?
«Attirano questi due estremi, ma dobbiamo aggiungere che le città globali, circa un centinaio, stanno anche espellendo i settori modesti di mezzo. Queste città diventano poli di attrazione per i talenti in tutto, dai matrimoni, ai musei e i ristoranti. Ti danno l’impressione di vibrare di energia e idee, ma stanno anche rendendo più difficile la sopravvivenza per le occupazioni di livello medio più standardizzate. Sono diventate spazi strategici per attori potenti, dal settore finanziario a quello culturale e imprenditoriale. Un effetto di ciò è lo straordinario aumento dei prezzi degli edifici residenziali e commerciali. Quando trovai per prima le prove di questa emergente biforcazione, nessuno ci credeva. Devo dire che non mi sarei mai aspettata che le cose diventassero così estreme. Se ci aggiungi il rapido aumento delle acquisizioni di grandi prorietà da parte delle corporation (prezzo minimo 5 milioni), cominci a vedere che la classe media è fuori. Nel mio nuovo progetto Who Owns the City sviluppo questo aspetto a lungo. Nel periodo fra la metà del 2013 e del 2014, 600 miliardi di dollari sono andati per acquistare grandi proprietà di valore nelle 100 città al top. Fra il 2014 e 2015 la cifra è raddoppiata a 1,3 migliaia di miliardi. Perciò sì, talenti, lavoratori con paghe basse, ma forse un eccesso di spazi di lusso. Se potessimo espandere lo spazio della conoscenza a tutti, mi sentirei un po’ meglio».
C’è un esempio di città che si è sviluppata grazie all’investimento nel capitale umano?
«Generalmente è sempre una buona idea. E lo dico in maniera molto ampia: investire nell’istruzione alta è solo una parte. Mettere un idraulico o un carpentiere in condizione di diventare più bravi è un input altrettanto positivo. Bisogna fare qualunque cosa serva a migliorare ogni settore di un ordine economico e sociale. La tradizione tedesca dell’artigianato è un esempio molto buono. È un binario separato dell’istruzione, e significa che hai lavoratori di alta qualità in tutte le sfere. Chiaramente una cosa non preclude l’altra: anche le città che non hanno investito nel capitale umano si sono potute sviluppare intorno a temi molto specialistici. La Silicon Valley è nata dagli individui, non dai governi locali. Ma, ovviamente, c’erano intorno le grandi università. Berlino e l’innovazione culturale è un altro esempio: è venuta dal basso. Ciò che contava era lo spazio dove potevano sperimentare, fare mostre. In breve, quello che accade in una città è legato a spazi di conoscenza molto diversi, favoriti dall’istruzione, ma anche da caratteristiche stesse della città».
Se le grandi città interagiscono fra di loro, l’eccellenza nell’istruzione ha poi una ricaduta sul territorio circostante?
«Interagiscono sempre più fra di loro, la deregolamentazione e la privatizzazione lo hanno favorito. Per ora i maggiori beneficiari, quelli che sapevano come estrarre il massimo da questi nuovi spazi orizzontali che collegano le città, sono le grandi aziende, le compagnie finanziarie, i musei che si scambiano le collezioni. Bisogna allargare il fenomeno a molti più attori nelle città».
Nell’era dei Massive Open Online Course (Corsi aperti online su larga scala), ha senso per una città investire nell’istruzione?
«Certo! I Moocs arrivano fino ad un certo punto, l’istruzione è molto più complessa. Mi ricorda una domanda che mi viene fatta spesso: le città intelligenti sono la morte della democrazia? Non proprio. La democrazia è molto più complessa ed elusiva dei sistemi tecnici per le smart cities. La mia preoccupazione semmai è che le città intelligenti non sono abbastanza intelligenti. Se la smart city non mobilita le diverse intelligenze dei suoi residenti, perde una componente chiave del suo funzionamento democratico. Da qui viene la mia enfasi sull’outsourcing verso il quartiere, come una chiave di questo “spazio di conoscenza” più ampio, che una città intelligente dovrebbe costituire e gestire».
Investire nell’istruzione fa aumentare la diseguaglianza?
«Non dovrebbe, ma i fatti oggi suggeriscono che lo fa, specialmente nelle grandi città. E questo è un peccato. I migliori maestri dovrebbero essere pagati di più per insegnare ai bambini poveri. Ora invece accade il contrario. Più si allarga l’area della buona istruzione, migliore diventa la società».
L’istruzione può favorire la crescita dell’innovazione?
«Certo. Ma gran parte dell’innovazione funziona nel piccolo spazio delle classi privilegiate. La chiave è che anche l’artigiano o lo spazzino possono puntare a migliorare il loro lavoro, ad esempio diventando più attenti all’ambiente. Questa maniera di pensare l’istruzione e l’innovazione apre spazi molto più ampi».