venerdì 13 novembre 2015

La Stampa 13.11.15
Il matrimonio non può essere camicia di forza
di Carlo Rimini
Ordinario di diritto privato nell’Università di Milano


Basta guardarsi attorno: i giovani che vanno a vivere assieme decidono, sempre più spesso, di non sposarsi. Viene spontanea una domanda. Perché? La risposta è in parte ovvia: se una coppia convive ed ha figli senza aver contratto matrimonio nessuno si scandalizza più. Ma ciò non basta a spiegare le statistiche. Occorre infatti capire perché in altri Stati a noi vicini il fenomeno non si verifica. In Italia dal 2009 i matrimoni sono diminuiti in modo sensibile, mentre in Inghilterra, nello stesso periodo, sono aumentati.
Per rispondere è necessario porsi una seconda domanda. Che cosa può spingere due giovani che vogliono costituire una famiglia a sposarsi e che cosa li può indurre a non farlo? Man mano che l’argomento della convenienza sociale perde rilievo, dovrebbero affermarsi valutazioni connesse alla serietà e stabilità del vincolo matrimoniale. Il matrimonio dovrebbe apparire come il contenitore di un impegno reciproco, più tranquillizzante rispetto alla semplice convivenza. Dovrebbe essere, dal punto di vista giuridico, un insieme di regole che garantiscono una soluzione equa e tranquillizzante dei problemi che possono nascere se le cose dovessero andare male e la coppia dovesse spezzarsi. Se altrove i matrimoni aumentano e in Italia diminuiscono è perché il matrimonio da noi non è percepito come un istituto che garantisce alla famiglia stabilità ed equità. Non è un impegno reciproco che garantisce a colui (o più spesso colei) che decide di sacrificare il proprio futuro a favore delle esigenze familiari e dei figli una equa tutela. Al contrario, viene percepito come un insieme di regole arcaiche e inique. Basti pensare ai rapporti patrimoniali fra i coniugi dopo la crisi del matrimonio: in Italia sono ancora basati sul diritto per il coniuge debole di ricevere un assegno assistenziale a tempo indeterminato. Un diritto che appare odioso sia a chi versa l’assegno (perché non si comprende la ragione per cui l’ex coniuge debba continuare a ricevere assistenza), sia a chi lo riceve (perché la parte debole non vuole assistenza, ma una giusta compensazione per i sacrifici fatti durante il matrimonio). In tutti gli ordinamenti che ci sono vicini, il matrimonio attribuisce, in caso di divorzio, il diritto ad una «equa compensazione». Rendiamo il diritto di famiglia adeguato alle esigenze dei giovani di oggi e il numero dei matrimoni aumenterà.