giovedì 12 novembre 2015

La Stampa 12.11.15
“Io jihadista, vi racconto la mia  guerra santa contro gli infedeli”
Il tunisino Abu Rahman si è arruolato con Al Qaeda prima in Iraq e ora in Siria:    “Uccido nel nome di Dio per dovere e non per scelta. Così aiuto i fratelli musulmani”
di Domenico Quirico


Abu Rahman è un jihadista, un professionista della guerra santa. Sono gli uomini che nella violenza stanno scardinando un mondo, e che noi non conosciamo, riempiono i giornali le televisioni la Rete, e non li conosciamo. Ci prepariamo a combatterli, forse, e non li conosciamo.
Abu Rahman mi ha portato la notizia della morte di un combattente che ho incontrato, Adel Ben Mabrouk, guardia del corpo di Bin Laden, otto anni a Guantanamo, ucciso accanto a lui in Siria. Non lo sentivo da due anni. La morte è un destino che non perdona questi uomini. Abu Rahman si nasconde, rischia la prigione nel Paese dove è tornato. Ha un solo amore, il suo dio inflessibile sottratto ad ogni dubbio, che gli offre trasparenza e semplicità, molti odi, gli sciiti prima di tutto, gli eretici e poi gli americani. Vive in una memoria ossessiva dove predomina una guerra di tutto contro tutti, e il tradimento. È il ritratto più vero della Siria di oggi che io abbia mai ascoltato: Bashar, i russi, l’America, il califfato, gli altri gruppi islamisti, nessuno è alleato con qualcuno, tutti sono nemici oggi o domani. Ecco il racconto della sua vita.
«Sai, la sura dice: “recita, nel nome del tuo Signore, che ha creato, che ha creato l’uomo da un grumo di sangue”. Un grumo di sangue: hai capito? E allora perché avrei dovuto provar paura quando sono partito per la Siria? Bisogna andare ad aiutare i fratelli musulmani, la religione del vero, che patiscono di fronte a quei cani di sciiti infedeli... E poi avevo già combattuto in Iraq contro gli americani, le armi le so maneggiare. Dicono che noi guerrieri di dio siamo degli affamati, gente che cerca denaro e belle case… Beh, io sono commerciante, ho soldi, quando non tornerò più dalla guerra santa la mia famiglia, mia moglie e due figli piccoli, avrà di che vivere. Rimarrà di me un buon figlio che invocherà la misericordia per suo padre. Di che altro c’è bisogno?
Andarci... Non è difficile andare, ho preso l’aereo, Istanbul, poi Antalya, eravamo in tre o quattro, tunisini come me. Tutto è pronto sulla via che porta a Dio. C’era già il passeur, per entrare in Siria. Ma i poliziotti turchi ci hanno fermato. Dodici ore poi ci hanno lasciato andare, con tante scuse e sorrisi. Vedi? È Dio... All’inizio ero con un reggimento del gruppo Al Mouhajiroun, gli immigrati, turchi e arabi. Ci hanno dato le armi, ci hanno portato a combattere nella città di Selma, sulle montagne sopra Latakia. È un punto strategico quello, i soldati di Bashar non mollavano, stavano a duecento metri, non di più, da noi, ci si ammazzava guardandosi negli occhi. È un posto dove sunniti e alawiti vivevano insieme. Vivevano… Già. adesso non ci sono più alawiti, conoscevamo ad una ad una le case: qui un sunnita, qui un cane.. Qualcuno è scappato, gli altri…
Che cosa provo ad uccidere? Vuoi sapere se ricordo chi ho ucciso per primo? In Iraq ho ammazzato il mio primo uomo, al tempo degli americani. Ho detto: grazie Dio, ti ringrazio perché hai guidato la mia mano. Continuo a ripeterlo.
Dopo quattro mesi in Siria sono passato alle “katibe” di jabhat Al Nusra, gli uomini di Al Qaeda. Perchè? Che domanda stupida! Quelli sono veri combattenti, i loro emiri sono grandi uomini, ecco perché! Guerrieri puri, i migliori, e dotti nell’Islam. In Siria è pieno di gruppi di banditi, gente che dice di essere musulmano e in realtà cerca denaro e traffici. Non ci sono pensieri impuri in quelli di Al Nusra.
La jihad: è dura la jihad! Non c’era nulla da mangiare, spesso per giorni, eravamo assediati lì, abbiamo mangiato l’erba come le bestie e i frutti verdi degli alberi. Uno di noi era un contadino, ha piantato un piccolo orto. Per bere raccoglievamo l’acqua piovana. Fa freddo su quelle montagne, le montagne dei curdi dannati, freddo da morire e non avevamo vestiti pesanti. C’era una televisione in tutto il villaggio e quando non cadevano bombe si andava a vedere Al Jazeera. E i mortai… Come erano grandi i mortai dei soldati: bestie da 120 millimetri, sparavano tutto il giorno, ci facevano vedere la morte e noi non avevamo nulla da opporgli, una mitragliera da 23 millimetri che si inceppava sempre! E poi gli elicotteri e gli aerei che sganciavano i bidoni pieni di esplosivo…
Ma questo è niente, resistevamo. Quello che è terribile è il tradimento. I nostri emiri si riunivano in una casa, dopo pochi minuti arrivava una bomba precisa precisa! Si usciva di notte per una operazione, i soldati erano già lì che ci aspettavano! Tra noi c’erano spie, gente che i servizi di sicurezza, i Mukhabarat, del regime avevano lasciato prima di ritirarsi o infiltrato come falsi combattenti.
La zona di al Karrata... Lì sapevi che non potevi uscire vivo. Bombe bombe bombe. Quanti dei miei compagni sono morti! Nel loro cuore portavano una moschea splendente di Dio. Ali il Magrebino… lo amavano tutti, una granata gli ha portato via una gamba, così, di netto, mentre sparava stando in piedi, dritto, e il dolore gli ha spento il grido Allah akbar sulle labbra. È morto dissanguato, non avevamo garze, bende, nulla per tamponare la ferita. Usavamo erbe e rimedi tradizionali perché non c’erano medicine.
E lì che è morto Adel Ben Mabrouk, il sopravvissuto di Guantanamo, accanto a me, a Durin, un villaggio che ci è costato tanti, troppi martiri, un posto maledetto, un pugno di case. Per niente, adesso l’hanno ripreso i soldati. Adel, lui che aveva baciato la mano allo sceicco Osama sulle montagne afgane, che aveva resistito otto anni a Guantanamo alle torture degli americani, lo ha preso un cecchino, in testa, in prima linea. Aveva appena annunciato che stava per sposarsi con una donna siriana, come molti di noi... Era felice.
Seppellivamo i morti di notte a Durin, per sfuggire alle bombe, non potevamo nemmeno recitare la “fatiha’’ sulle tombe, sì la puoi recitare ovunque, lo so, ma sulle tombe assume un significato particolare…
Abbiamo chiesto aiuto a quelli del gruppo di Ahrar el Cham, tutti siriani quelli, e hanno armi moderne, non vecchi kalashnikov. Ci hanno risposto no, ci hanno lasciato crepare, noi che siamo loro fratelli. Grazie a Dio ci siamo salvati.…
Io so bene cosa è il tradimento… Quando sono andato in Iraq per battermi contro gli americani c’era ancora Saddam che comandava, volevano mettermi in una brigata che si chiamava «i martiri di Saddam». Noi sunniti siamo stati spediti a sud, a Karbala; gli americani avanzavano non c’era acqua né cibo, per Saddam dovevamo controllare gli sciti di cui non si fidava… quando tutto è crollato, in piccoli gruppi otto, dieci siamo scappati a Baghdad, ci hanno messi in un albergo, l’hotel Cedir, non si fidavano, tutto attorno crollava, ma attraverso le zone sunnite, Ramadi, Samara, Mosul, siamo riusciti ad arrivare in Siria. Chi vuole restare è libero, hanno detto i siriani e invece ci hanno spedito in Tunisia dove ci hanno arrestati. Mi ha liberato la rivoluzione contro Ben Ali.
La jihad, la jihad sai per me è un dovere, non c’è scelta: la terra musulmana è in mano ai senza Dio, agli sciiti infami, la jihad viene prima dei figli del mangiare della casa del paese, devi combatterli con la parola i soldi le armi le leggi. Morire vivere... Parole, ci sono mujaheddin che combattono da 30 anni e sono ancora vivi altri che sono morti dopo un’ora… Decide Dio. Quello che voi occidentali non potete capire: avete perso la voglia di combattere per la fede, la religione per voi funziona come per me il commercio, ma quello che è importante per me, per noi, è essere puri nel momento in cui ci si separa da questo mondo, avere una fine felice. Tu saresti capace di avere una fine felice, rispondi? Io non sono sempre stato così pronto a Dio, ogni tanto la mia fede mi lascia, ma poi torna. E allora mi sento vivo e non più schiavo dell’occidente. Si combatte si uccide si muore. Voi occidentali siete più forti: per il denaro, i mezzi, le armi che avete. Ma proprio per questo avete paura di morire e volete vivere a tutti i costi. Noi no. Vedi la saggezza di Dio? Attraverso la debolezza lui ci rende più forti di voi.
Nel giorno della resurrezione l’Onnipotente mi chiamerà a se: “Abu, hai assolto i tuoi doveri?”. “Mio dio, mi sono impegnato - gli risponderò - ho accettato di morire per te: tu sarai clemente allora...”.
Perché sono venuto via, perché non sono rimasto là a morire come Adel e gli altri? Perché è arrivato Isis. Ed è entrato l’odio tra noi. I loro capi non sono veri musulmani come noi, sono ex funzionari del Baath iracheno, ex ufficiali dell’esercito di Saddam. Non vogliono concorrenti, è impossibile cambiare idea, lasciarli: ti uccidono. Vicino ad Aleppo noi di Al Nusra abbiamo ceduto loro ventun villaggi che controllavamo: loro li hanno lasciati a Bashar. I loro emiri non sanno nulla del Corano, sono ignoranti e anche i combattenti sono giovani ignoranti affascinati dalla loro propaganda. Abbiamo litigato con loro, poi abbiamo anche combattuto. Ecco perché sono venuto via dalla Siria, non posso stare in un posto, morire, dove i sunniti, la gente di Dio, combatte non contro gli sciiti e gli americani ma tra di loro. Non so se tornerò, forse da un’altra parte. Voglio combattere perché nasca un governo islamico in Siria e dopo andremo a liberare la Palestina dai giudei. Nascono nuovi gruppi, si uniranno a noi, Jaich al Fatah, per esempio, si battono bene, c’è speranza, ma occorre essere uniti. I russi dici? Bombardano? Che importa. Noi combattiamo per una fede, loro no, perderanno».