martedì 10 novembre 2015

La Stampa 10.11.15
La scomparsa dei moderati
Il ritorno del centrodestra - o di quei che ne rimane - all’unità e la nascita di un nuovo partito a sinistra non preoccupano più di tanto Renzi
di Marcello Sorgi


Il premier da Riad ripete che l’assalto al governo è fallito. Gli effetti delle due novità politiche del week end sull’andamento dell’esecutivo in Parlamento, però, si vedranno da subito. Inizia infatti una stagione, com’è quella del dibattito e dell’approvazione della legge di stabilità, che prevede centinaia di votazioni in commissione e in aula. È vero che Renzi potrà contare, al Senato, dove la maggioranza è più ballerina, sull’appoggio del fido Verdini, ed è vero pure che in Forza Italia la decisione dell’ultima ora di Berlusconi di partecipare alla manifestazione della Lega e salire sul palco con Salvini e Meloni ha lasciato qualche scontento, ma l’idea del «fronte anti-Renzi» che ha attraversato tutti gli interventi di Bologna sarà messa alla prova nelle prossime scadenze parlamentari,
Ed eventuali defezioni, fin qui tollerate, stavolta peseranno. Per dire, se tra le file dei berlusconiani, come ha già fatto l’ex-ministro Matteoli, dovesse affacciarsi ancora qualche voce favorevole a prendere in considerazione la proposta renziana del taglio della tassa sulla prima casa, ed eventualmente a votarla, il rassemblement bolognese sarebbe finito già sul nascere.
Ma al di là di contraddizioni e ripensamenti, che con l’ex-Cavaliere sono sempre possibili, la spinta che ha portato Berlusconi, insieme con alcuni dei suoi che avevano motivato pubblicamente le loro riserve sull’abbraccio con Salvini, a partecipare al raduno di Bologna, è venuta dalle seconde file del partito e dalla nuova generazione. Gente come Giovanni Toti, governatore della Liguria, o come l’europarlamentare Licia Ronzulli, ritengono che non ci siano più ragioni di far distinzioni tra Forza Italia e Lega e che specialmente nell’elettorato il sentimento dell’unità sia molto più avvertito rispetto alle divisioni del vertice. Né vale l’argomento che Salvini, per le sue posizioni xenofobe e anti europeiste, non sia adatto a trasformarsi in candidato premier, e che un’eventuale scelta in questo senso libererebbe a favore di Renzi una parte degli elettori moderati. I pasdaran dell’accordo ritengono infatti che l’identificazione dell’elettorato moderato, in un Paese in cui ormai metà degli elettori non vanno più a votare, sia ormai praticamente priva di senso. L’unico elettorato che conta è infatti quello che si presenta alle urne e per farlo deve essere motivato con argomenti forti.
Quanto alla neonata Sinistra, il partito che dovrebbe riunire Sel, lista Tsipras e fuorusciti dal Pd, puntando alla fetta di elettorato di sinistra delusa dalla svolta centrista di Renzi, l’impressione è che, al di là di certi toni, l’intento, al momento, sia di rinegoziare un accordo con il premier per le amministrative, frenando le temute prove generali di «partito della nazione» e opponendosi anche a candidature più tecniche, come quella del capo dell’Expo Sala a Milano. Ma l’ex-viceministro Fassina, probabile candidato sindaco a Roma per il nuovo schieramento, ha detto ieri ad Agorà che in caso di ballottaggio tra Pd e 5 stelle nella Capitale non esiterebbe a chiedere di votare per Grillo. Difficile dire se si tratti solo di un avvertimento o di una seria intenzione.