domenica 15 novembre 2015

Il Sole Domenica 15.11.15
Islam tra autocrati e chierici
Molti Paesi musulmani, fin dalla II Guerra mondiale, hanno vissuto un equilibrio instabile, generatore di violenza, tra religione e modernità
di Jean-Philippe Platteau


Solo ai tempi del Profeta religione e politica si sono davvero fuse nella storia dell’Islam. Dopo la morte di Maometto, violenti scontri tra diverse fazioni in cerca di potere erano all’ordine del giorno, e ciascuna fazione rivendicava la legittimità della propria versione dell’eredità che il Profeta aveva lasciato. La politica ebbe così la meglio sulla religione e i militari occuparono spesso posizioni di comando sia davanti, sia dietro le quinte.
L’autocrazia non solo ha continuato a essere il sistema politico dominante nei Paesi musulmani sin dai tempi degli Omayyadi e degli Abbasidi, ma la sottomissione dei chierici all’autocrate è rapidamente diventata una consuetudine malgrado lo scopo professato dall’Islam sia quello di stabilire un ordine mondiale giusto e fornire garanzie contro governi dispotici. Quando l’autocrate riesce a esercitare un controllo completo sui chierici, il regime politico è relativamente stabile.
Uno stato di crisi invece emerge quando una sommossa popolare guidata da chierici arrabbiati mina il regime, si crea una sorta di vuoto politico nel quale i dignitari religiosi all’improvviso si ritrovano politicamente in prima linea. Un tale stato può nascere a causa sia di circostanze esterne avverse, sia di politiche dispotiche quando il controllo esercitato dall’autocrate sui religiosi non è totale. La situazione archetipica osservata in numerosi Paesi musulmani sin dalla seconda guerra mondiale potrebbe quindi definirsi un’autocrazia instabile. È il risultato di una combinazione di politiche sociali inique e di una corruzione dilagante dell’élite politica con una parziale cooptazione dell’élite religiosa che frequentemente sfocia in una divisione tra chierici ufficiali e chierici autoproclamati. Ansiosi di preservare i loro privilegi e di evitare riforme intese a ridurre le disuguaglianze socio-economiche, a combattere l’alto livello di corruzione e a democratizzare il regime, i despoti hanno mobilitato l’Islam per rafforzare la loro legittimità e per giustificare le loro politiche inique. Questa scelta strategica fa sì che la maggior parte dei dibattiti pubblici e delle controversie siano inquadrati in termini religiosi. Da un lato, definendo apostate e nemiche dell’Islam le forze di opposizione progressiste e secolari, il regime non solo impedisce qualsiasi dibattito serio riguardo alle proprie politiche, ma giustifica anche la dura repressione contro tali forze. Dall’altra parte, l’opposizione, gradualmente privata delle sue componenti secolari e di sinistra, si ritrova comandata da chierici autoproclamati che accusano l’autocrate e la sua cricca di corruzione, cinico opportunismo e comportamento ipocrita.
In molti Paesi, la scena politica è stata pertanto in larga misura dominata da un lato da chierici ufficiali che hanno pronunciato fatwe per sostenere la legittimità religiosa del regime e, dall’altro, da chierici autoproclamati che hanno pronunciato fatwe contro la cricca regnante, accusandoli di essere dei miscredenti che trasgrediscono i valori dell’Islam e che ne travisano il messaggio originale più puro. I primi si identificano nelle radici profonde della tradizione islamica che prescrive che, per evitare il caos e il disordine, i musulmani debbano obbedire al loro sovrano indipendentemente dal suo dispotismo. L’unica condizione è che costui esteriormente, con rituali e comportamenti da protocollo, possa essere considerato un musulmano osservante. Per quanto riguarda la seconda categoria, questi sono chierici meno importanti, entrati in rivolta contro l’ufficiale status quo religioso.
Ciò che l’autorità autocratica quindi scatena è una pericolosa guerra di religione nella quale sia il regime sia l’opposizione cercano di rivendicare di essere i portatori più legittimi dei valori e dei principi dell’Islam. La politica è invasa da discorsi intransigenti, da anatemi irrazionali e lo scontro assume la forma di una lotta manichea che può solo portare all’eliminazione del rivale. Nelle autocrazie instabili si crea dunque un «blocco oscurantistico» il cui esito è imprevedibile. Potrebbe risultarne una situazione di caos molto temuto dai chierici ufficiali, un caos che potrebbe innescarsi a seguito dell’assassinio del despota. Potrebbe poi seguire una presa del potere politico da parte dell’esercito in aiuto all’autocrazia o da parte di capi religiosi che, conquistando la prima linea dell’arena politica, sono determinati a ripristinare un ordine sociale in nome dell’Islam. Quando il caos predominante si conclude con un colpo di stato militare, il risultato in generale (con poche eccezioni di rilievo come il Pakistan) è la nascita di un regime secolare basato sull’uso della coercizione e della repressione.
Per capire il motivo per cui, fin dalla Seconda guerra mondiale, i Paesi musulmani sono stati caratterizzati da un equilibrio politico-religioso instabile piuttosto che stabile, dobbiamo fare riferimento al ruolo svolto dal contesto internazionale. La propagazione di ideologie islamiste è facilitata dall’abbondante ricchezza di petrolio dell’Arabia Saudita, dalla Rivoluzione Islamica Iraniana e dalla pronta disponibilità di tecnologie di comunicazione di massa avanzate. Inoltre, la popolarità di ideologie che identifichino il popolo musulmano come vittima e che demonizzino la civiltà occidentale è stata stimolata dall’ingerenza faziosa di Paesi occidentali avanzati nei conflitti regionali in Medio Oriente.
La miscela tra la diffusione delle ideologie islamiste e la pressione a raggiungere lo stesso livello di sviluppo delle economie occidentali e di altri paesi emergenti, ha avuto l’effetto di modificare i termini del trade-off che devono fronteggiare i despoti nei paesi mussulmani. Diventa infatti sempre più difficile comprare il silenzio dei chierici, almeno di quelli sensibili all’ingiustizia sociale. Come risultato, il regime autocratico diventa sempre più instabile.