domenica 22 novembre 2015

Il Sole 22.11.15
Inchiesta
Il dottore, il sudanese, il siriano: i boss di un traffico di uomini da 3 miliardi
Le rotte e i flussi finanziari : ecco il business che alimenta anche il terrorismo
di Claudio Gatti


In Libia c’è “il dottore”, che grazie alla sua rete di fornitori eritrei movimenta decine di migliaia di persone. E “il sudanese”, che gestisce il flusso di barconi con il supporto di un alto funzionario del corpo diplomatico somalo a Tripoli.
In Turchia invece opera un trafficante di nazionalità siriana finora identificato solo con il primo nome, Abu.
Nel corso di un’inchiesta condotta sulla base dei risultati di indagini giudiziarie e attività di intelligence, il Sole 24 Ore è oggi in grado di identificare alcuni dei principali trafficanti che alimentano lo tsunami umano abbattutosi sull’Europa negli ultimi 10 mesi e quantificare in oltre 3 miliardi il volume d’affari finora generato.
Dalla nostra inchiesta risulta evidente che per l’Europa quei soldi e quei criminali non rappresentano soltanto una potenziale bomba sociale, ma una minaccia alla sicurezza. E alla stessa democrazia.
Il punto di svolta è stato dato dagli attentati di Parigi. Il fatto che due dei jihadisti siano entrati in Europa spacciandosi per rifugiati ha infatti trasformato un rischio potenziale in un «pericolo chiaro e presente». Ci riferiamo a quella che l'intelligence chiama «saldatura di convenienza» tra gruppi criminali dediti al traffico di migranti e formazioni terroristiche.
«Da tempo sappiamo che il traffico di esseri umani sta attirando l'attenzione di milizie estremiste e formazioni terroristiche, incluso Islamic State. Sia come possibile metodo di veicolamento verso l'Europa di elementi ostili a loro affiliati, sia in quanto canale di finanziamento», conferma a Il Sole 24 Ore un funzionario di un servizio di intelligence europeo.
Negli ultimi anni il collasso di Libia e Siria ha trasformato flussi migratori di proporzioni relativamente fisiologiche in un vero e proprio tsunami umano. Oltre 300mila persone dalla Libia si sono riversate sull'Italia provenienti dalla regione sub-sahariana occidentale e dal Corno d'Africa. E altre centinaia di migliaia di siriani, iracheni, curdi, afgani e pakistani sono arrivati dalla Turchia, attraverso la Grecia e i Balcani.
Con loro si sono mosse anche grossissime somme di denaro. Secondo le stime degli esperti consultati da Il Sole 24 Ore, solo quest’anno il traffico delle circa 800mila persone finora sbarcatie in Europa da Libia e Turchia, ha generato profitti che oscillano tra i 400 e gli 800 milioni di euro, mentre il volume di affare complessivo si calcola abbia già superato i tre miliardi.
Secondo fonti di intelligence europee, nel caso di gruppi criminali questi fondi vengono re-investiti nell’ampliamento di attività illegali o riciclati in attività legittime, sia in loco sia all'estero. Ma nel caso di gruppi terroristici come quelli attivi in Libia, queste risorse potrebbero essere usate per finanziarie attentati all’estero.
Per questa ragione nell’ultimo anno non solo le forze di polizia ma anche i servizi di intelligence hanno impegnato risorse nella mappatura delle organizzazioni transnazionali che dominano il business del contrabbando umano.
«In ogni tratta, dal Paese d'origine e quello di destinazione, il traffico di esseri umani è indubbiamente molto frammentato, affollato di non-professionisti che vi sono opportunisticamente entrati o di gruppi di criminali e contrabbandieri locali che hanno differenziato le proprie attività. Detto ciò, esistono anche organizzazioni criminali che si sono ritagliate spazi preponderanti», ci dice Renato Cortese, direttore del Servizio Centrale Operativo (Sco) della Polizia di Stato.
Queste organizzazioni hanno acquisito posizioni di particolare forza specialmente in Libia dove, secondo fonti di intelligence, hanno anche rapporti con gruppi affiliato ad al-Qaeda e a Islamic State.
Uno dei maggiori trafficanti in Libia è Musaab Abu Ghreen, soprannominato “il dottore”, un cittadino libico residente a Sabratah, sulla costa a ovest di Tripoli ma attivo anche a Gasr Garabulli, cittadina costiera a est della capitale. I suoi “clienti” vengono soprattutto da Eritrea e Somalia, i suoi “fornitori” sono eritrei, e parte consistente dei proventi del traffico da lui gestito è riciclata negli Emirati arabi riuniti. Lì Ghreen può contare su un suo associato di nazionalità siriana, identificato solo come Ismail, che gestisce investimenti non solo negli Emirati ma anche in Egitto.
Altro grande trafficante è Adaam Sudani, noto come “il sudanese” per via del suo Paese di origine. Circa quarant'anni, di statura bassa e carnagione scura, Adaam opera in un'area di Tripoli sotto il controllo della milizia, o katiba, al Nawasi e opera con il supporto di un alto funzionario del corpo diplomatico somalo che lo aiuta a gestire una larga parte dei transiti di migranti sudanesi, somali ed eritrei. Attraverso una rete di esercizi commerciali da lui controllati nello stesso quartiere di Tripoli a fini di “bonifica” dei proventi del traffico, “il sudanese” è inoltre in grado di effettuare trasferimenti di denaro in vari Paesi del mondo, dove suoi associati si occupano di re-investirli. In Francia, per esempio, si appoggia a un sudanese con base a Parigi.
Sia “il dottore” sia “il sudanese” godono di protezione fornita non solo da loro uomini armati ma anche delle milizie che controllano i rispettivi territori.
Il modus operandi è sempre lo stesso. «Le imbarcazioni impiegate nel trasporto dei clandestini sono preliminarmente selezionate da membri della rete criminale che censiscono le aree portuali e le zone costiere limitrofe. Una volta individuata tale imbarcazione, vengono acquisite informazioni sul proprietario e lo stato di conservazione e solo dopo viene avvicinato il potenziale venditore. Solitamente il primo contatto avviene in mare. Per la circostanza i membri del racket utilizzano moto d’acqua o piccoli motoscafi. Il prezzo offerto varia da 40mila a 85mila dinari, cioè da 20 a 35mila euro circa, a seconda della capienza e delle condizioni del naviglio. Una volta raggiunto l'accordo, il corrispettivo viene saldato in contanti. Il venditore s’impegna poi a rimuovere sigle ed elementi identificativi e, trascorsi due giorni dalla partenza dei migranti, a denunciare l'affondamento dell'imbarcazione alle autorità libiche. La consegna avviene pochi giorni prima della partenza, in un luogo prestabilito in mare, solitamente fuori dai porti», ci spiega una fonte. «I gommoni invece sono per lo più comprati in Tunisia. Quando arrivano in Libia vengono gonfiati perché siano pronti per la notte della partenza. E se l'attesa si rivela lunga, vengono seppelliti sotto la sabbia».
Più vicino al confine con la Tunisia, a Zuwarah, opera l'organizzazione guidata da tale Umar, un cittadino libico che si serve per lo più di scafisti tunisini ma può contare anche su membri della Guardia costiera locale appartenenti al suo stesso clan che concedono alla sua organizzazione libertà d'azione nell'area portuale e nelle acque territoriali libiche.
L'intelligence italiana è stata in grado di accertare le tariffe imposte dalla rete di Umar per le varie tratte. Per il percorso tra Zuwarah e la Sicilia a ogni clandestino vengono chiesti mille euro. I prezzi delle tratte precedenti dipendono invece dal Paese di origine. Dalla Turchia a Zuwarah servono in media 3.500 dollari. Dall'Egitto bastano mille euro, mentre dal Sudan la cifra balza a 4.500 dollari. Dall'Algeria a Zuwarah servono 900 dollari, mentre dalla Tunisia 500.
La rotta più popolare è quella che passa per il Sudan, e in particolare per Omdurman, città sulla riva occidentale del Nilo bianco di fronte alla capitale Khartum, dove i migranti arrivano solitamente a bordo di fuoristrada e rimangono per giorni, settimane o addirittura mesi. Dal grande suk di Omdurman, i migranti vengono fatti partire verso la Libia in gruppi di 50/60 persone.
Una delle rotte porta nella zona di Awaynat, una località non lontana dal confine libico-sudanese, dove è stato creato un centro di raccolta gestito da tale Magherieff, figura con importanti contatti in Somalia. A detta della nostra fonte, quest'ultimo “ha una sorta di ufficio di reclutamento di migranti a Mogadiscio gestito da tale Ahmed, che per una somma mediamente di 4.500 dollari garantisce il viaggio dalla capitale somala a Khartum in aereo (con relativo visto di ingresso procurato dall'organizzazione) e poi in auto o Suv fino a Tripoli, con tappa al campo di Awaynat”.
Nonostante le pressioni rivolte anche dal governo egiziano del generale al Sisi perché si impegni maggiormente nel contrasto del flusso migratorio, il Sudan rimane un punto di passaggio fondamentale. Lì le connivenze e complicità vanno ben al di là della comunità locale di Omdurman, la cui economia dipende da questo traffico, di poliziotti o guardie di frontiera.
In una lettera inviata il 18 luglio 2011 al Consiglio di sicurezza dell’Onu, l’UN Monitoring Group on Eritrea and Somalia, ha identificato tra i principali referenti dei trafficanti eritrei Mabrouk Mubarak Salim, identificato come «Ministro dei trasporti del governo di Khartum».
Altrettanto importanti sono state connivenze e complicità fornite da figure istituzionali eritree quali Mohammed Mantai, ambasciatore a Khartum, e il generale Teklai Kifle “Manjus”. Tra il 2011 e il 2013 quest'ultimo avrebbe coordinato il traffico di migranti verso Israele, anche se fonti dell'Onu ci dicono che recentemente il regime eritreo lo avrebbe ridimensionato.
Un altro eritreo legato al regime di Asmara e coinvolto nelle tratte europee del traffico di migranti del suo paese è invece Efrem Misgna, detto “Goge”. Oggi detenuto in un carcere a Francoforte, in Germania, Misgna è uno di 25 africani che nel febbraio scorso sono stati colpiti da un'ordinanza di custodia cautelare della Procura di Monza risultata da un'inchiesta condotta dalla Squadra mobile di Milano, guidata da Alessandro Giuliano (figlio di Boris, il famoso capo della Mobile di Palermo ucciso in un agguato mafioso il 29 luglio 1979).
Grande e di corporatura robusta, Misgna, ha servito da guardia del corpo in viaggi all'estero di Yamane Gebriab, il consigliere politico del presidente eritreo, e ha stretti rapporti personali con diplomatici eritrei sia in Svezia sia nel nostro Paese. Adesso la Mobile di Milano lo accusa di aver partecipato personalmente alla movimentazione di migranti clandestini dall'Italia alla Svizzera.
Dall'inchiesta battezzata Glauco 1 e condotta dallo Sco per conto della Procura di Palermo, è emersa la figura di Ghermay Ermias, un etiope che fino all'anno scorso è stato uno dei trafficanti che più ha promosso la movimentazione di eritrei. Da allora i riflettori degli inquirenti italiani hanno però costretto Ermias a fare un passo indietro e gli spazi da lui lasciati aperti sono stati riempiti da suoi associati e concorrenti. Alla prima categoria appartiene un trentaquattrenne etiope di nome Yehdego Mered Medhanie, che nell'inchiesta condotta dai sostituti di Palermo Calogero Ferrara e Claudio Camilleri e dall'aggiunto Maurizio Scalia è risultato rivestire «il ruolo di capo e promotore di (…) un network criminale, con diverse cellule operanti nei territori di riferimento» e «una chiara catena di commando tra gli esecutori e gli elementi di vertice».
In una delle telefonate intercettate dalla Polizia italiana, Medhanie ha spiegato che la sua organizzazione è in grado «di ricevere il pagamento in qualsiasi Paese». Il decreto di fermo del tribunale di Palermo spiega che «i pagamenti vengono frammentati tappa per tappa, per garantire che ogni parte della tratta venga pagata anticipatamente. Il denaro può arrivare brevi manu dai migranti o spedito dai congiunti all'estero… ma sia all'estero sia in Italia buona parte di esso si muove su canali illegali. I trafficanti fanno espresso riferimento all'hawala».
Da tutte le indagini risulta che quello dell'hawala, metodo noto per essere stato usato anche da al Qaeda, è di gran lunga il più usato. In pratica consiste nel trasferimento di fondi mediante una rete informale di commercianti, i cosiddetti hawaladar, che grazie a rapporti fiduciari di tipo compensativo consentono di evitare sia i canali bancari sia quelli a essi alternativi, a volte comunque usati, come Western Union, MoneyGram o PostePay.
«Le indagini ci inducono a ritenere che Ismael Abdelrazak sia un altro dei Ras dei traffici di uomini sulla direttrice Sudan-Libia-Europa, e che abbia un'estesa rete di complici e fiancheggiatori che lo supportano sia nelle attività logistico-materiali sia in quelle finanziarie», ci dice il pm palermitano Calogero Ferrara.
Nato e cresciuto a Massawa, figlio di madre cristiana e padre mussulmano, Abdelrazak ha la sua base operativa a Tripoli, ma svolge importanti attività commerciali e finanziarie a Dubai, dove si ritiene vengano riciclati i proventi del traffico di clandestini.
Dal 2005 Abdelrazak risiede a Tripoli, quando aveva aperto un ristorante molto frequentato da trafficanti libici. Grazie a quei contatti, a detta dello Sco, ha costruito «un sodalizio i cui membri reclutano, concentrano e trasferiscono migranti, via mare, dai Paesi di origine verso l'Italia, e da qui fino al Nord Europa riscuotendo ingenti somme di denaro, a volte anche in forma parziale, pattuite per l'intero viaggio».
Altro importante trafficante di nazionalità eritrea è Jamal el Saoudi il quale, dopo aver risieduto per anni in Sudan, dalle indagini della Polizia risulta vivere in Libia da circa due anni.
Saoudi non solo è accusato di «acquistare pacchetti di migranti» da altri trafficanti dell'Africa subsahariana, ma di essere coinvolto nei rapimenti di alcuni di loro lungo la rotta.
«I cittadini nordafricani vengono talvolta sequestrati dai soggetti ai quali si affidano per l'attraversamento del deserto, e viene chiesto a loro, o ai loro parenti, il pagamento di ulteriori somme di denaro per essere liberati», riporta lo Sco. Sulla base di testimonianze raccolte presso il Centro di Prima Accoglienza di Lampedusa, la Polizia ha ricostruito uno specifico episodio: «un gruppo di circa 130 migranti di nazionalità eritrea è stato intercettato nel deserto dal gruppo armato che bloccava il convoglio utilizzando un pick-up fornito di mitragliatrice installata sul tetto. Il gruppo veniva condotto con la forza e sotto la minaccia delle armi nel paese di Sheeba, in Libia, ove i migranti venivano rinchiusi all'interno di una grande abitazione in attesa che i loro familiari pagassero il riscatto richiesto, 3.300 dollari a testa. Tutte le persone offese descrivevano dettagliatamente le violenze fisiche e le reiterate torture che avevano subito – dall'utilizzo di manganelli per colpire le piante dei piedi alle scariche elettriche e al soffocamento. Hanno altresì riferito degli stupri ripetuti cui erano state sottoposte le venti donne che viaggiavano con loro, non solo da parte dei componenti del gruppo criminale, ma anche di altri soggetti, in genere libici, ai quali le donne erano state “offerte in dono”».
La seconda grande rotta per rifugiati e migranti è quella che dalla Turchia passa per la Grecia e i Paesi balcanici. Anche qui il business è popolato da centinaia di piccoli “commercianti al dettaglio” – da fornitori di gommoni a camionisti. Ma a fianco a loro ci sono alcuni importanti “grossisti”, vere e proprie reti transnazionali che garantiscono sia il passaggio della singola tratta dalla Turchia alla Grecia sia il “pacchetto completo”, con tanto di documenti contraffatti, fino alla destinazione finale.
«In Turchia operano soggetti di origine siriana che hanno avviato un business alquanto redditizio. In particolare, le indagini in corso hanno consentito di individuare una rete criminale specializzata nel fornire ‘assistenza' ai migranti, procurando loro alloggi, natanti e documenti falsi», spiega il direttore dello Sco Renato Cortese.
Da fonti europee a Il Sole 24 Ore risulta che la rete criminale in questione sia comandata da uno smuggler di nazionalità siriana identificabile per ora solo con il primo nome, Abu. A illustrare il modus operandi di questo sodalizio, composto per lo più da siriani, è stato un migrante siriano, sbarcato da una nave mercantile, la Blue Sky M, che il 30 dicembre scorso è stata intercettata da una motovedetta italiana a largo di Santa Maria di Leuca, in Puglia.
A bordo della Blue Sky M c'erano 796 migranti, in prevalenza siriani, partiti da Mersin, un porto sulla costa meridionale della Turchia poco a nord del confine con la Siria. Dalle risultanze dell'indagine giudiziaria condotta dalla Procura di Lecce è emerso che la tariffa individuale per il viaggio in nave oscillava a tra i 4.500 e i 7mila dollari. Il che significa che per quella singola nave i proventi dei trafficanti turchi sono stati di oltre 4,5 milioni di dollari.
Agli inquirenti non è stato difficile calcolare il guadagno netto: la nave, definita «uno scolapasta con 796 persone imbarcate come pecore», era costata 450mila dollari e al suo comandante, Sarkas Ahmad Rani, era stata promessa la somma di 50mila dollari, da spartire con l'equipaggio. Insomma, per l'organizzazione turca quei 796 migranti avevano fruttato oltre quattro milioni di dollari.
Grazie alla testimonianza di al-Dabbagh Yasir Hatim Qasim, uno dei siriani a bordo, si è venuti a sapere anche quello che è successo prima dello sbarco in Puglia: «Ho viaggiato da solo in auto dalla Siria sino alla Turchia. Poi a Istanbul ho raggiunto mia sorella Fati, e ho soggiornato presso di lei. Ho subito iniziato a cercare una qualche organizzazione che mi permettesse di raggiungere l'Italia. Sia tramite alcune conoscenze sia grazie a Facebook sono venuto a sapere di tale Abu (…) che organizza viaggi clandestini. Il 23 dicembre, verso alle 15.00, mi sono recato presso il suo ufficio, che si trova a Mersin. Lui non c'era ma in sua assenza un siriano, del quale non conosco il nome, si occupava sia della registrazione del nominativo di chi voleva partire sia della riscossione della somma pattuita. Nel mio caso la cifra, pagata in contanti, per raggiungere l'Italia è stata di 7mila dollari. Dopo aver pagato, sono stato accompagnato in auto dal siriano presso una località di mare a circa dieci/quindici minuti di distanza, dove all'una di notte del 24 mi sono imbarcato su un peschereccio insieme ad altre 150 persone. Dopo circa due ore e quarantacinque minuti di navigazione ci siamo avvicinati al mercantile e ci hanno fatto trasbordare grazie a una scala di fune e legno. Tutto questo avveniva di notte. Una volta giunti a bordo, parlando con le altre persone mi sono reso conto che alcune di loro erano sul mercantile da tre, quattro o addirittura cinque giorni. Il mio gruppo è stato l'ultimo a salire».
Il Sole 24 Ore ha appurato che, in seguito all'opera di contrasto della unità navali italiane ed europee, dopo aver utilizzato cosiddette “navi-fantasma” come la Blue Sky M, l'organizzazione di Abu ha cambiato le modalità di viaggio prima spostando il flusso a bordo di gommoni verso le isole greche prossime alla Turchia e poi indirizzandolo sulla rotta terrestre via Istanbul e i paesi balcanici.
Gli attacchi terroristici di Parigi hanno ora reso ancora più urgente per l'intelligence europea il monitoraggio di queste organizzazioni criminali e delle possibili connection, sia operative sia finanziarie con gruppi terroristici.
In ballo però non è solo una questione di sicurezza. «Se non governati con politiche comuni, questi flussi migratori minacciano di destabilizzare la democrazia in Europa perché, come hanno dimostrato le recenti elezioni in Polonia, possono contribuire a spostare verso posizioni estreme pezzi significativi di elettorato», osserva Marco Minniti, Sottosegretario di stato alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi per le informazioni e la sicurezza.