sabato 21 novembre 2015

Il Sole 21.11.15
I fragili equilibri dell’economia mondiale
di Stefano Manzocchi


Più volte, in questi giorni bui, è stato ripetuto che l’obiettivo primario del terrorismo è indurre un cambiamento nel nostro modo di vivere e la globalizzazione fa parte del nostro modo di vivere. L’accanirsi degli attentati e delle minacce nelle destinazioni del turismo occidentale, oggi in Mali, ieri a Tunisi, in Egitto, nelle Maldive, è ovviamente parte di questo disegno. Ed è nei Paesi emergenti, dall’Africa all’Asia, che gli effetti economici del terrore potrebbero pesare di più, anche se talvolta con conseguenze imprevedibili.
Da alcuni anni gli Emergenti non sono più la principale locomotiva dell’economia mondiale, come è stato tra il 2008 ed il 2012: parte di questo è dipeso da alcuni colossi in crisi (il Brasile e la Russia, in primo luogo) e dalla transizione cinese.
Ma è stata soprattutto la ripresa solida dell’economia statunitense a riscrivere la mappa dello sviluppo planetario. Gli Emergenti restano tuttavia una promessa per l'economia globale: alcuni procedono spediti (l'India) altri costituiscono la prima manifattura mondiale (la Cina), e soprattutto sono un'enorme fonte potenziale di investimenti. Nel frattempo la globalizzazione ha già cambiato in parte volto, come ha appena documentato il centro studi di Confindustria: più domanda domestica e meno commercio internazionale, meno investimenti esteri da parte delle multinazionali che contano per i tre quarti degli scambi commerciali, accorciamento delle catene globali del valore con una segmentazione geografica meno spinta e fasi intermedie a più alta intensità di lavoro spesso ricondotte nel paese di origine.
Pur in presenza di una relazione meno forte tra crescita e scambi internazionali, ed anche se per la prima volta da anni la domanda interna traina la recente ripresa italiana, la nostra economia rimane comunque indissolubilmente legata al successo delle nostre esportazioni. La fiducia stessa di imprese e famiglie, di recente consolidata, trova un perno fondamentale nella dinamica positiva dell’export che in prospettiva sostiene investimenti e consumi domestici, ed in ultima istanza anche la nostra solidità finanziaria. E non a caso, nonostante i recenti buoni dati, le diverse proiezioni di crescita italiane per il 2016 variano in questa fase a seconda degli scenari commerciali globali.
Medio Oriente, Africa settentrionale e Turchia pesano per l’11 percento del nostro export, ma ancora più rilevante è che siano state tra le aree più dinamiche lo scorso anno con un aumento a due cifre per il Medio Oriente. Si tratta di aree dove gli investimenti richiesti in infrastrutture sono imponenti, se solo il parziale raddoppio del canale di Suez vale circa 8 miliardi con prospettive di impiego per 25.000 egiziani e opportunità rilevanti per le imprese italiane. Questo è vero anche in paesi africani che non si affacciano sul Mediterraneo e dove il terrorismo colpisce rallentando il flusso di turisti, investimenti e commerci: di fatto attaccando uno snodo fondamentale del percorso di riscatto di quei paesi dalla povertà. Tra le conseguenze impreviste del terrorismo, c'è invece quel riavvicinamento tra Occidente e Russia che sarebbe benvenuto per i nostri produttori della meccanica, dell’agro-alimentare, del lusso.
Sullo sfondo, ed è questo forse il principale autogol dei burattinai del terrore, la ritrovata sintonia tra le due sponde dell’Atlantico: non solo perché oggi anche gli statunitensi si definiscono parigini, mentre ai tempi della seconda guerra del Golfo l'inimicizia era forte. Ma perché il terrore rafforza la consapevolezza dei legami non solo culturali ma economici tra Usa ed Ue: è qui che le nostre imprese industriali stanno facendo meglio (più 29 percento di export negli Stati Uniti lo scorso anno, grazie all'euro indebolito ma soprattutto alla qualità dei nostri prodotti). Discutiamo ancora di come migliorare il TTIP, ascoltiamo le istanze delle organizzazioni non governative sulle due sponde dell’oceano, ma poi rinsaldiamo con quel trattato la partnership delle economie atlantiche.