venerdì 13 novembre 2015

Il Sole 13.11.15
L’Ue rischia il caos istituzionale
di Attilio Geroni


L’Europa resta divisa sull’emergenza migranti. Trova un accordo con i Paesi africani per aumentare, quantitativamente e qualitativamente, gli aiuti ai Paesi di provenienza. Ma al suo interno è più lacerata che mai.
Nascono nuove barriere e chi si era distinto per una politica di grande apertura è costretto a fare marcia indietro reintroducendo controlli alle frontiere, come Germania e Svezia. Perfino l'intesa sui 160mila ricollocamenti diventa surreale di fronte all'imponenza dei flussi e alla disarmonia del consesso europeo, evidente anche al vertice di Malta. E fa dire al presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, che di questo passo la redistribuzione dei rifugiati dall'Italia e dalla Grecia si concluderà nel 2101. La portata dirompente di questo flusso migratorio non ha ancora trovato una risposta all'altezza dei tempi. Non bastano le consapevolezze dei leader più lungimiranti che pensano ai benefici di lungo termine di un’integrazione ordinata, profonda. La realtà quotidiana dei numeri sta sovrastando Paesi organizzatissimi e tradizionalmente aperti all’accoglienza dei rifugiati; le opinioni pubbliche mostrano sempre più insofferenza e, nei casi peggiori, forme di intolleranza anche estrema. Il caos europeo è ormai istituzionalizzato: a Berlino è saltato il coordinamento tra ministero degli Interni e Cancelleria e perfino il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble ha criticato Angela Merkel parlando, a proposito dei profughi, di un «rischio valanga» che può essere causato «da uno sciatore imprudente».

Il Sole 13.6.15
Ue, accordi di Schengen in pericolo
Juncker: ridistribuzione dei rifugiati troppo lenta, così finiremo nel 2101
L’impegno dei leader in difesa della libera circolazione messo alla prova dall’emergenza profughi
di Beda Romano


LA VALLETTA L’emergenza rifugiati sta mettendo a rischio il mercato unico, mentre aumentano i Paesi che reintroducono i controlli alle frontiere pur di arginare l’arrivo di profughi. I Ventotto hanno assicurato ieri di voler difendere Schengen e quindi i confini esterni dell’Unione. In questa ottica, si terrà a breve un nuovo vertice, alla presenza di Ankara con la quale stanno negoziando un piano d’azione e mentre Bruxelles denuncia senza mezze parole la lentezza dei Ventotto nell’accogliere i rifugiati da ricollocare.
«Alcuni Stati membri stanno subendo una pressione migratoria colossale – ha detto in una conferenza stampa qui a La Valletta il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk –. Stiamo affrontando una corsa contro il tempo per salvare le regole di Schengen. Siamo consapevoli che questo obiettivo richiede un miglior controllo delle frontiere esterne». L’ex premier polacco si è così riferito all’accordo che permette la libera circolazione delle persone senza controllo d’identità in 26 Paesi d’Europa.
Il trattato è vistosamente a rischio. La Svezia, Paese Schengen, ha reintrodotto ieri il controllo alle frontiere, pur di arginare l’arrivo di migliaia di rifugiati dal Sud Europa. Altri Paesi Schengen – come la Germania, l’Olanda o l’Austria - hanno fatto altrettanto nelle scorse settimane, in via temporanea. Nei Balcani, l’Ungheria ha costruito una barriera al confine con la Croazia. Lo stesso ha annunciato la Slovenia, che negli ultimi tempi è diventata la meta di moltissimi profughi.
Notava qualche giorno fa un diplomatico europeo: «I rischi economici di queste scelte politiche si toccano con mano. Il traffico commerciale è già inevitabilmente rallentato». In un articolo pubblicato da Project Syndicate a metà ottobre, il professore americano Barry Eichengreen avvertiva: «In un momento in cui l’Europa sta con difficoltà sostenendo una ripresa della produttività e della competitività, la reintroduzione dei controlli alle frontiere sarebbe un colpo serio».
I Ventotto sono stretti tra il nervosismo delle loro pubbliche opinioni per via dell’arrivo di migliaia di immigrati e la paura che la chiusura delle frontiere possa scalfire il mercato unico. Quest’ultimo rischio convincerà forse i Paesi ad accordarsi su una nuova strategia migratoria? Non è ancora chiaro. Ieri, intanto, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha ammesso polemicamente che di questo passo la prevista redistribuzione di 160mila rifugiati dall’Italia e la Grecia si concluderà nel 2101.
A complicare la situazione è l’incerto clima a Berlino dove la scelta della cancelliera Angela Merkel di accogliere fino a 800mila profughi ha provocato tensioni nel governo e dichiarazioni contraddittorie. A rischio è la tenuta del mercato unico. Si capisce a questo punto perché i Ventotto siano pronti a organizzare un incontro con la Turchia, possibilmente il 29 novembre, pur di approvare un piano d’azione con Ankara per meglio controllare le frontiere esterne dell’Unione.
Il pacchetto è in discussione da tempo, ma i nodi politici e finanziari sono molti (si veda Il Sole/24 Ore del 16 ottobre). La Commissione europea propone ad Ankara aiuti nel 2016-2017 per 3,0 miliardi di euro, suddivisi tra il bilancio comunitario (500 milioni) e i Paesi membri (2,5 miliardi, di cui 281 milioni italiani). Il tentativo è sostenere gli sforzi turchi nel gestire l’arrivo di immigrati sul suo territorio, contribuendo economicamente ai rimpatri di coloro senza diritto d’asilo.
Proprio di rimpatri, i Ventotto hanno discusso sempre qui a La Valletta tra mercoledì e giovedì con una trentina di leader africani. Le parti hanno approvato un piano d’azione e una dichiarazione politica in cui si impegnano «a gestire insieme i flussi migratori sotto tutti gli aspetti». Un fondo fiduciario da 3,6 miliardi di euro ha visto la luce. Il bilancio comunitario vi verserà 1,8 miliardi; lo stesso ammontare giungerà da parte dei Paesi membri, che per ora vi hanno versato meno di 100 milioni.
Il piano d’azione con i dirigenti africani è stato approvato all’unanimità, ma è stato oggetto di difficili trattative. Ha commentato per esempio il presidente senegalese Macky Sall: «Non si può insistere sui rimpatri degli africani, quando invece si accolgono i siriani. È discriminatorio». Dinanzi alle forti pressioni africane di stabilire precise filiere dell’immigrazione legale, i Ventotto hanno accettato tra le altre cose di raddoppiare le borse di studio.