martedì 24 novembre 2015

il manifesto 24.11.15
Argentina, la vittoria del miliardario Macrì
Argentina. Primo presidente eletto che non appartiene né al peronismo né ai radicali
di Geraldina Colotti


«È cambiata un’epoca». Così il candidato delle destre argentine, Mauricio Macri, ha salutato la sua piazza dopo la vittoria. Alle presidenziali di domenica — a cui ha partecipato l’80,89% degli oltre 32 milioni di aventi diritto — il miliardario ha battuto l’avversario kirchnerista Daniel Scioli (anch’egli imprenditore), guidando la coalizione Cambiemos. Scioli, proposto dal Frente para la Victoria (Fpv) ha perso per pochi punti, totalizzando il 48,60% contro il 51,40% di Macri. Quest’ultimo ha confermato una forte presenza in tutti i distretti del centro del paese. Schiacciante la vittoria a Cordoba (71,6% contro 28,4%).
Nella provincia di Buenos Aires, di cui Scioli è stato governatore per otto anni, il Frente para la Victoria si è imposto per un pugno di voti: 4.833.680 contro 4.626.326 ( il 51,10% contro il 48,90%). Un risultato insufficiente per indirizzare il corso nazionale, ma che riconferma «la maledizione» di chi governa quella provincia determinante (pari al 37% dell’elettorato nazionale), sempre perdente nella corsa alla presidenza del paese. Nel suo tradizionale bastione, il Frente ha finito per mostrare la sua principale debolezza. In compenso, è tornato a governare le province del Noa e della Patagonia. I risultati più importanti di Scioli sono stati quelli di Santiago del Estero (72% contro 28%) e di Formosa (63,7% contro 36,2%). Vittoria ampia anche a Tucuman, ma sconfitta inattesa nelle zone di La Rioja o La Pampa.
Domenica sera, Scioli ha raggiunto i suoi sostenitori della Campora, del Movimiento Evita e di Nuevo Encuentro, concentrati nella storica Plaza de Mayo. Ha dichiarato di aver fatto «tutto il possibile» e ha ribadito i temi della campagna elettorale, basata sui meriti del governo Kirchner: dalla lotta alla povertà e alla disoccupazione, a quella sul debito estero nella battaglia contro i fondi avvoltoio. Conquiste – ha aggiunto – che occorrerà difendere a partire dal 10 dicembre, quando Macri assumerà l’incarico.
Mauricio Macri ha condotto una campagna scimmiottando lo slogan usata negli Usa da Obama nel 2008: «Sí, se puede», riadattato su «Yes, we can». Un indirizzo che sveste di retorica i suoi discorsi rassicuranti con cui intende chiudere 12 anni di peronismo kirchnerista (di Nestor Kirchner – dal 2003 al 2007 e della moglie Cristina, eletta per due mandati dopo la sua morte dal 2007 al 2015).
«Impiegherò tutta la mia energia per costruire l’Argentina che sognamo, con una povertà zero», ha promesso il miliardario. Poi ha tenuto a rassicurare i suoi referenti internazionali: «Lo dico ai fratelli dell’America Latina, del mondo, vogliamo avere buone relazioni con tutti i paesi, vogliamo lavorare con tutti», ha affermato. Quali siano i paesi a cui si riferisce è apparso chiaro durante la campagna elettorale: prima di tutto voltare le spalle alle alleanze solidali di Cuba e Venezuela e volgersi al campo subalterno agli Usa.
Nel Mercosur cercherà di spostare gli equilibri fidando sull’omologo di centro-destra, il paraguayano Horacio Cartes: un po’ indebolito dalla sconfitta alle recenti municipali, ma sempre incarognito contro l’Alba e il Venezuela, e deciso a pesare sulle decisioni della brasiliana Dilma Rousseff e della cilena Michelle Bachelet, pressate dalle destre nei loro paesi. Il presidente boliviano Evo Morales, altro componente del Mercosur, ha preso posizione per Scioli durante la campagna elettorale. Morales e Maduro sono stati però i soli a opporti al trattato di libero commercio del Mercosur con l’Europa.
Il miliardario argentino, ex capo di governo della città di Buenos Aires e presidente del club calcistico Boca Juniors tra gli anni ’90 e 2000, ha ricevuto le congratulazioni dei presidenti del Messico, della Colombia e del Paraguay — bastioni del neoliberismo e del ricorso alle armi contro l’opposizione sociale -, e delle destre cilene, uruguayane, ecuadoriane e venezuelane. A esultare con lui a Buenos Aires c’era infatti anche Lilian Tintori, moglie del golpista Leopoldo Lopez, il leader di Voluntad Popular: condannato per le violenze di piazza contro Maduro che, l’anno scorso, hanno provocato 43 morti e oltre 800 feriti.
Dal ritorno alla democrazia (1983), Macri è il primo presidente eletto che non appartenga né al peronismo né ai radicali, le due grandi correnti politiche del paese.
Tuttavia, è riuscito a coagulare un vasto arco di forze conservatrici decise a battere il kirchnerismo. E a festeggiare la vittoria, domenica, erano con lui i leader della storica Union Civica Radical e della Coalicion Civica. Il suo discorso conciliatore mira a conquistare il sostegno di governatori e sindacati d’impronta peronista per far digerire al paese le sue politiche neoliberiste. Insieme alla vicepresidente, l’ultraconservatrice Gabriela Michetti, Macri promesso un indirzzo mefitico in tema di aborto, depenalizzazione della marijuana, privatizzazioni delle imprese statali e dei beni comuni. E le forze popolari sono pronte a dare battaglia. Finora, nessun presidente non peronista ha potuto terminare il mandato in Argentina.