sabato 21 novembre 2015

il manifesto 21.11.15
Hebron nella morsa
Il governo Netanyahu, dopo l'agguato a Etzion e l'uccisione di due israeliani a Tel Aviv, azioni compiute da palestinesi di Hebron, ha varato misure punitive volte a colpire economicamente gli abitanti del sud della Cisgiordania.
di Michele Giorgio


HEBRON Sulla superstrada che da Betlemme porta a Hebron l’autista del nostro taxi service in alcuni tratti tocca i 130. «Non intendo rischiare, i coloni sono arrabbiati dopo quanto è accaduto ieri (giovedì) e non voglio prendermi le loro pietre», ci dice con tono preoccupato riferendosi all’attacco armato che un palestinese di Beit Awwa, un villaggio a sud di Hebron, ha compiuto allo svincolo per gli insediamenti ebraici di Etzion uccidendo due ebrei, un colono e un giovane americano, Yaakov Don ed Ezra Schwartz, e un palestinese, Shadi Arafeh. In realtà, scrive qualche giornale, Arafeh non sarebbe morto per i colpi esplosi dall’attentatore bensì per le raffiche sparate da soldati e poliziotti israeliani intervenuti sul posto. Per questo ieri è stato sepolto come “martire”. «Il punto più rischioso sarà alla rotonda (per le colonie di Etzion, ndr), lì potrebbero esserci dei coloni pronti a lanciare sassi alle auto con la targa verde, come la nostra», aggiunge sempre più teso l’autista. Giunti a Etzion però scorgiamo soldati, tanti, schierati in ogni punto, che tengono sotto tiro le auto in transito. Ci sono anche coloni che sventolano grandi bandiere israeliane, senza apparenti intenzioni ostili verso le automobili palestinesi.
Il nostro autista non sarà un cuor di leone però lungo le strade del sud della Cisgiordania si avverte forte un clima da conflitto aperto. Un conflitto non tra Israele e i palestinesi, piuttosto tra i coloni e i palestinesi, in una rappresentazione fin troppo chiara dell’impossibilità della convivenza tra occupanti ed occupati. La situazione è esplosiva da anni e alla fine la deflagrazione è avvenuta. «Tanti si domandano perchè l’Intifada di Gerusalemme è diventata l’Intifada di Hebron. Perchè qui non ce la facciamo più, per i palestinesi è peggio persino di Gerusalemme est. I coloni israeliani decidono tutto, condizionano della nostra vita, anche se dobbiamo andare per questa strada o per un’altra. E non solo qui a Hebron, anche più a sud, tutto intorno ci sono i loro insediamenti. I nostri giovani sono pieni di rabbia», ci dice Raed Abu Sneineh, residente nella zona H2, circa il 22% della città sotto il controllo di Israele e dove sono insediati circa 700 coloni. Una prova delle spiegazioni di Abu Sneineh l’abbiamo pochi minuti dopo quando, percorrendo Shuhada Street, tre coloni ci impediscono di proseguire verso la Tomba dei Patriarchi, intimandoci di tornare indietro verso il “posto di blocco container” (tra le due città). La nostra colpa? Giungiamo dalla zona H1, sotto il controllo palestinese e non siamo entrati in quella H2 attraverso la colonia di Kiryat Arba come fanno gli israeliani. Passiamo solo grazie all’intervento di un soldato che, controllate minuziosamente le nostre credenziali giornalistiche e chiesta l’autorizzazione al suo superiore, alla fine ci dice apre la strada. In giro neanche l’ombra di un palestinese.
Il governo Netanyahu, dopo l’agguato a Etzion e l’uccisione di due israeliani a Tel Aviv, azioni compiute da palestinesi residenti nel distretto di Hebron, ha varato misure che mirano a restringere la libertà di movimento in aree vicino alle colonie e a colpire economicamente gli abitanti di questa parte della Cisgiordania. Sono stati congelati i permessi di lavoro di 1.200 di palestinesi di Hebron e severe punizioni subiranno gli israeliani che impiegano illegalmente manovali cisgiordani. Saranno demolite in tempi stretti le case delle famiglie degli attentatori. Misure che hanno innescato nuovi scontri tra giovani e soldati israeliani a Ras al Jorah, all’ingresso di Hebron. Scontri sono divampati anche lungo le linee tra Gaza e Israele, alla periferia di Ramallah, a Taqua vicino a Betlemme. Almeno 87 palestinesi sono rimasti feriti, non pochi dei quali da proiettili veri sparati dai militari.
Israele ieri ha festeggiato la scarcerazione dell’americano ebreo Jonathan Pollard, la spia rimasta per 30 anni in un carcere della North Carolina. Per ora non potrà lasciare gli Stati Uniti. «Il popolo di Israele saluta la liberazione di Jonathan Pollard», ha commentato un raggiante Benyamin Netanyahu. «Ho sollevato il caso di Pollard per anni con vari presidenti Usa e ho sperato a lungo che questo giorno alla fine arrivasse», ha aggiunto il premier israeliano. E alla fine il “regalo” è giunto da Barack Obama, il presidente tanto contestato e criticato da Netanyahu e da una buona fetta di israeliani. E in Israele sanno che presto o tardi Pollard arriverà a Gerusalemme dove lo attendono un appartamento e la promessa della Knesset di una pensione a vita. Arrestato il 21 novembre del 1985, Pollard, che lavorava alla US Navy, ha sempre sostenuto di aver tradito il suo Paese per amore di Israele. Tesi contestata da tre ex superiori secondo cui si sarebbe venduto al miglior offerente e, prima dello Stato ebraico, avrebbe passato documenti segreti a tre altri governi spiando anche per il Sudafrica razzista.