giovedì 5 novembre 2015

Corriere 5.11.15
Quella ricerca compulsiva del piacere (che lo annienta)
di Paolo Di Stefano


Intendiamoci, ogni epoca ha fatto uso di sostanze afrodisiache naturali o artificiali, lecite e illecite. Oppio, canapa, papavero, fino all’Lsd anni 60. Dunque, la domanda non è: perché ricorrere alla droga (anche) per raggiungere il più naturale dei piaceri, quello sessuale? Risposta ovvia: per l’ansia di godersi al meglio quelle due ore di felicità, costi quel che costi. La domanda, nel caso del chemsex , è un’altra: che cosa spinge un individuo ad annientare per tre giorni il proprio cervello in nome di un piacere inevitabilmente privo di piacere. Chiamiamola compulsione o bulimia erotica, ma svuotata di eros, proprio come la bulimia da cibo (che però è una malattia) prescinde dal gusto di mangiare. Se il Viagra contribuisce a ovviare a un deficit fisiologico per soddisfare un desiderio cui tutti aspiriamo, Chemsex è l’opposto. Il suo obiettivo è perpetuare uno stato di eccitazione sfrenata fino al suo annientamento, fare dell’euforia sessuale una condizione ossessiva, autistica, se è vero che fa dimenticare per giorni persino l’esigenza di mangiare. Ebbrezza da Carnevale infinito (del resto, la carnevalizzazione della vita è onnipresente, basta guardarsi intorno). Ma l’eccitazione fa rima con eccezione, altrimenti si riduce a sorta di priapismo artificiale, indotto fino all’autodistruzione. Promuovere il sesso a coazione sfinente, scambiandola per il massimo del piacere condiviso che dovrebbe essere il rapporto erotico. Si può pensare di vivere una vita in orgasmo?