Corriere 29.11.15
Nelle province del Nord Africa la culla delle visioni medievali
I territori proconsolari artefici di una cultura autonoma
di Francesca Bonazzoli
Il 9 giugno del 193 Lucio Settimio Severo, nativo di Leptis, in Tripolitania, entra a Roma acclamato dal Senato dopo la guerra civile romana. Con lui finisce il potere delle grandi famiglie che dall’età repubblicana si erano avvicendate nella gestione dello Stato e termina la supremazia di Roma e dell’Italia come centro del potere.
È l’inizio di una cultura nuova, chiamata tardo-antica, embrione dell’Oriente bizantino e dell’Occidente medievale. Per la prima volta, nell’equilibrio ellenistico delle forme viene introdotto un elemento irrazionale destinato a rimanere la linea di continuità nell’arte dell’Occidente fino all’XI secolo.
Naturalmente il 193 non è che una data icastica per palesare un processo avviato già sotto gli imperatori Antonini, ossia la progressiva affermazione strategica e culturale delle Province a scapito dell’Italia, come dimostrano i resti del tempio di Adriano con le personificazioni delle Province collocate nello zoccolo a significare la loro funzione di sostegno dell’edificio imperiale .
Ma, avvertiva Ranuccio Bianchi Bandinelli, «tutto quanto proviene da queste province, orientali e occidentali, non ha però affatto carattere “provinciale”. Questo termine va riserbato alla produzione dei territori attraversati dal Danubio e a quelli occidentali, dalla Britannia alle Gallie e all’Italia settentrionale sino all’arco appenninico». Dalle province ellenistico-orientali e da quelle dell’Africa arrivavano invece nuovi stimoli culturali, filosofi, artisti, militari, funzionari.
Delle tre province africane, comprese l’Egitto e la Cirenaica, saranno quelle a occidente di quest’ultima, i territori dell’Africa proconsolare sui quali per secoli si era sviluppata la civiltà punica e oggi corrispondenti ad Algeria e Tunisia, a elaborare forme artistiche autonome, senza dimenticare che proprio qui le comunità cristiane produssero personalità come Tertulliano, Cipriano, Arnobio, Lattanzio, Agostino. Anche dopo la distruzione di Cartagine nel 146 avanti Cristo, la cultura punica era infatti rimasta viva tanto che solo nella seconda metà del II secolo dopo Cristo i templi ellenistico romani presero il posto di quelli punici e all’interno comparvero i primi ex voto in lingua latina anziché punica.
Nell’arte si configura uno stile nettamente distinguibile e originale che ama, come si vede nella stele del cavaliere del museo del Bardo, le forme squadrate, semplificate, che mettono bene in evidenza il soggetto anche attraverso ripetizioni simmetriche.
Un gusto che ricerca l’appiattimento dei volumi trattando le superfici come un bassorilievo e dà il suo massimo contributo nei mosaici pavimentali. Mentre a Roma e nel Mediterraneo orientale perdurava infatti la tradizione di inserire riquadri dentro cornici geometriche, nell’Africa proconsolare nascono grandi pavimenti dalle composizioni unitarie, occupate da una sola scena, che alle tessere in bianco e nero preferiscono quelle colorate dei marmi locali e delle paste vitree.
Anche i soggetti sono autoctoni: le scene mitologiche cedono spazio a quelle delle fattorie nei grandi latifondi, dei lavori e dei prodotti agricoli nonché, sulla costa, alle scene di pesca e di cortei marini. Le maestranze africane esporteranno il loro stile fino alla metà del quarto secolo anche in altre città del Mediterraneo come testimoniano i 3.500 metri quadri di mosaici della villa di Piazza Armerina, e, ad Aquileia, il pavimento della basilica di Teodoro dove il mare appare stilizzato con piccoli tratti orizzontali paralleli secondo la tipica maniera africana .