mercoledì 25 novembre 2015

Corriere 25.11.15
un drammatico doppio gioco che rischia di favorire l’isis
di Franco Venturini


Diplomazia e grilletto facile vanno poco d’accordo, e così due comportamenti irresponsabili da parte di Russia e Turchia hanno lanciato l’ennesimo siluro contro il tentativo di far nascere una «grande coalizione»anti Isis capace di superare rivalità, conti da regolare e interessi contrapposti.
Passa quasi in secondo piano, nell’emergenza che il Califfato ci ha imposto, la consapevolezza che un aereo militare della Nato ne ha abbattuto uno russo, come poteva accadere soltanto nei momenti più bui della Guerra fredda. Oggi siamo immersi in una storia che non è più bipolare, che sa di caos e di terrore, e sarà difficile, con simili compagni di strada e con altri ancor più settari di loro, riuscire a combattere davvero quella «guerra comune» invocata da François Hollande nell’incontro di ieri con Obama.
Credere all’una o all’altra versione sulla fine dell’ Su-24 russo conta poco. Dai primi di ottobre i cacciabombardieri di Mosca violano lo spazio aereo turco per poi lanciare i loro attacchi in territorio siriano. Dai primi di ottobre i turchi minacciano fuoco e fiamme e stanno bene attenti a difendere i loro interessi. Come ieri e come nei giorni precedenti, quando i russi avevano bombardato ribelli turcomanni e Ankara, che li considera turchi, aveva convocato l’ambasciatore russo per ammonirlo. Come ieri e come da molti mesi, quando la Turchia reclama una no fly zone nel nord della Siria che in realtà servirebbe a tenere a bada i curdi, ma che ora può essere sostenuta con la forza dell’esempio. Per questo l’uomo forte Erdogan aveva dato l’ordine di sparare, la prossima volta. Per questo l’uomo forte Putin aveva dato l’ordine di non rinunciare a quelle piccole provocazioni. Potevano due autocrati comportarsi diversamente, non era forse fatale lo scontro tra le loro superbie e le loro diverse strategie?
Ora che il danno è fatto le parole devono seguire il loro corso. Alla Turchia che proclama di aver soltanto esercitato i suoi diritti Putin risponde accusandola di essere «complice dei terroristi» e di aver colpito la Russia alla schiena. Promette conseguenze, e annulla il viaggio che Lavrov doveva compiere oggi ad Ankara. Un uomo forte non può fare di meno, non può usare un linguaggio diverso. Ma quel che balza agli occhi dietro l’aereo abbattuto è l’ambiguità delle due parti, il loro muoversi all’interno di un proprio sistema di interessi che nulla, nemmeno gli attentati terroristici, è sin qui riuscito a scalfire.
La Russia «gioca» da molti mesi con gli aerei occidentali, dal Baltico alla Scozia, sfiorando i limiti degli spazi aerei a lei vietati. Ma quella è una arroganza da ascrivere alla crisi ucraina, e che peraltro risponde ad altre arroganze. Da settembre, da quando è intervenuto in Siria cogliendo l’America in contropiede, Putin ha invece messo la sua forza militare al servizio di due obiettivi ben precisi: puntellare Bashar al Assad colpendo tutti i suoi nemici e fare della Russia un interlocutore indispensabile nel futuro — oppure nella disgregazione territoriale — della Siria. Soltanto dopo l’attentato contro il charter russo l’Isis è diventato un bersaglio privilegiato. Senza però cambiare la strategia di fondo, nemmeno al tavolo negoziale di Vienna.
Ma se Putin è ambiguo, Erdogan è il suo maestro. Nemica giurata di Assad dopo essere stata sua amica, la Turchia si è disinteressata dell’Isis fino agli attentati di cui è rimasta vittima negli ultimi mesi. E anche quando la sunnita Turchia ha cominciato a lottare contro il sunnita Califfato rinunciando (sembra) ad appoggiarlo in segreto, il chiodo fisso di Erdogan ha continuato ad essere la guerra ai curdi per evitare che domani possa nascere un grande Kurdistan appoggiato dal casalingo Pkk.
Non può non sembrare ingenuo, l’appello che Hollande è andato a portare a Washington, che porterà giovedì a Mosca e che ripeterà domenica al cinese Xi Linping atteso a Parigi. Combattere «insieme» l’Isis resta un rompicapo, perché non ci sono soltanto Russia e Turchia. Che dire dell’Arabia Saudita che ha finanziato tutti i jihadismi sunniti ma oggi è preziosa per tentare di avviare un dialogo con gli sciiti? Che dire dell’Iran, che essendo sciita sostiene Assad con più determinazione del Cremlino? Questo doppio gioco collettivo rischia di diventare la vittoria dell’Isis, malgrado le bombe e con o senza scarponi nella sabbia.