Corriere 25.11.15
La moderazione del premier (con un occhio alle elezioni)
La strategia Il capo del governo si aggrappa alla storia europea per non essere trascinato nei bombardamenti anglo-francesi
di Massimo Franco
La riaffermazione della posizione dell’Italia in politica estera è insistita. L’impressione è che Matteo Renzi voglia divincolarsi dalla pressione francese e inglese che spinge per coinvolgere il governo di Roma nei bombardamenti contro l’Isis. Lo scopo è di ancorare il nostro Paese ad un’Europa che tenga conto delle conseguenze di qualunque intervento militare; e di saldarla con quella degli Stati uniti di Barack Obama. Dunque, insistenza sulla necessità di difendersi dal terrorismo dello Stato Islamico.
E, in parallelo, determinazione a evitare che la strage di Parigi del 13 novembre militarizzi il Vecchio Continente, trasformandolo in una sorta di fortezza post europea. La paura c’è, palpabile. Ma è almeno altrettanto chiara la volontà di contrastarla «perché l’Europa torni se stessa». C’è più di un pizzico di retorica nella parole di Renzi e nella scelta della sala del Campidoglio dove furono firmati i Trattati di Roma del 1957. La sostanza, tuttavia, va al di là dei toni usati; e perfino della strizzata d’occhio agli elettori diciottenni ai quali il premier promette 500 euro a scopi educativi. Il messaggio è soprattutto agli alleati europei.
Si presenta un’Italia decisa a partecipare ad una coalizione internazionale «nel rispetto delle regole del diritto». Non è soltanto un richiamo a norme giuridiche: si coglie implicitamente l’invito a rispondere all’eversione senza forzature. Quando Renzi ripete che «l’Italia non cambia posizione», tenta di scacciare l’incubo della paura e di una reazione magari comprensibile ma emotiva. Ed elencando la presenza delle nostre forze in tutti i teatri di guerra, rivendica un ruolo che non può essere sminuito; ma nemmeno stravolto e piegato dal trauma degli attentati parigini.
La preoccupazione è di evitare quella che ha chiamato nei giorni scorsi «una Libia bis»: i bombardamenti contro le forze del dittatore Muhammar Gheddafi decisi nel marzo del 2011 dai francesi, seguiti da inglesi e americani.
Quell’operazione si concluse con la sconfitta di Gheddafi e la vittoria dei suoi oppositori. Ma per difetto di visione sul «dopo» finì per accelerare anche la frantumazione tribale del Paese nordafricano, che oggi è un focolaio di destabilizzazione al di là del Mediterraneo; e una delle ridotte dell’Isis.
Per questo Renzi a afferma che «senza una chiara strategia per il dopo, qualsiasi «adesso» diventa meno forte e meno credibile». Il governo di Roma non vuole essere trascinato in un’operazione franco-inglese della quale si intuisce solo l’esigenza di Francois Hollande di reagire alla strage: reazione comprensibile, dagli effetti controversi. Meglio finanziare il settore della sicurezza, estendendo il bonus da 80 euro alle forze dell’ordine. E poi evocare una «coalizione internazionale più ampia possibile, in cui ruolo degli Usa è cruciale». Sarebbe una seconda opzione: seppure da costruire.