Corriere 22.11.15
Musa di Benito e degli artisti
Sarfatti dal fulgore all’oblio
di Pierluigi Battista
Novecento
Questa figura centrale nella storia culturale italiana non deve essere più dimenticata Irresistibile
Affascinò Marconi amò il pittore Boccioni e Roosevelt la ricevette alla Casa Bianca
Destino ingrato
L’alleanza di Mussolini con il Terzo Reich e la svolta antisemita la indussero all’esilio
Che appassionata (e sinora inedita) lettera d’amore, impetuosa persino nella punteggiatura febbricitante, apre questo libro: «La tua lettera mi ha reso folle, mio amore. L’ho letta tornata a leggere riletta con il cuore con le labbra che leggevano e baciavano insieme. Mi ha versato un vino di follia, ma d’una follia ardente e dolce e soave, che io amo. Ti amo, mio amore. Se mi avvicino al telefono solo al pensiero di udir la tua voce avvampo e mi dà le vertigini». E questa è una lettera di lei a lui. Poi ce n’è un’altra, di lui a lei: «Ti bacio forte, ti abbraccio con tenerezza violenta, stasera prima di addormentarti pensa al tuo devotissimo selvaggio, che è un po’ stanco, ma tutto tuo, dalla superficie al profondo. Dammi un po’ di sangue dalle tue labbra. Tuo Benito».
Benito, il «devotissimo selvaggio», è Benito Mussolini. Lei è Margherita Sarfatti, La regina dell’arte nell’Italia fascista , a cui Rachele Ferrario, nel libro che porta questo sottotitolo, Margherita Sarfatti, in uscita da Mondadori dopodomani, dedica una biografia appassionata e dettagliata, ricostruendo il profilo di una donna che ha avuto un ruolo importantissimo nella cultura italiana, ma il cui nome ancora soffre della damnatio memoriae riservata alla musa e all’amante di «Benito». L’uomo che lei amò, riamata, e che aiutò, sostenne, dirozzò, ricevendone in cambio, negli anni in cui un’ebrea verrà perseguitata dall’Italia mussoliniana, un trattamento ferocemente meschino.
Un donna straordinaria, basta scorrere questo breve riassunto di una vita ricca e piena stilato da Rachele Ferrario: «Fece innamorare fin dall’adolescenza Guglielmo Marconi, si legò a Boccioni in una storia breve ma feconda, si scontrò con Marinetti, ascoltò Einstein suonare il violino, tramò con d’Annunzio per allontanare il Duce da Hitler, litigò con Anna Kuliscioff, strinse un sodalizio con Colette e Alma Mahler, visitò Città del Messico con Diego Rivera, incontrò Roosevelt alla Casa Bianca e tentò invano di convincere il Duce a non rompere con gli Stati Uniti».
Eppure la Sarfatti viene ricordata perché prima e durante il fascismo i grandi artisti italiani vedevano in lei una musa, una mecenate, una protettrice, un’intellettuale irrequieta e avventurosa, innamorata dell’arte innovativa e dell’avanguardia, che diede vita a «Novecento», la biografa di Mussolini artefice di un libro agiografico, Dux , che fece il giro del mondo in un numero incalcolabile di copie, la donna raffinata e di gusto che nel mondo socialista precedente alla Prima guerra mondiale portò Mussolini in società, lo educò, lo plasmò, lo rese meno selvatico (da qui forse il «selvaggio» che lui avrebbe usato nelle sue lettere d’amore), scontrandosi con la Kuliscioff e la Balabanoff, che la vedevano troppo sofisticata, troppo seduttrice, troppo curata, troppo ingioiellata. Oppure la collaboratrice del «Popolo d’Italia» che nel fascismo trionfante prese le redini di «Gerarchia», la titolare di un salotto molto ambito a Roma nel Ventennio, in cui la Sarfatti, allora all’apice dell’influenza e del potere culturale, accolse il giovane Moravia apostrofandolo come cugino di quel «porco» di Carlo Rosselli, che di lì a poco sarà trucidato con il fratello nell’esilio francese.
Ma non si ricorda quasi mai la fine, quando la Sarfatti, terminata la guerra, torna in Italia e viene isolata dal mondo culturale (con poche eccezioni, tra cui quella, peraltro non caldissima come ci rivela la Ferrario, di Bernard Berenson), perché, nonostante l’esilio patito in quanto ebrea, le verrà sempre rinfacciato il suo amore per Mussolini. E non si ricorda mai il ruolo di promozione artistica e culturale che la Sarfatti aveva svolto prima dell’avvento del fascismo.
Rachele Ferrario ricostruisce nel dettaglio, e sulla scorta di un’ampia e imponente documentazione, il mondo ebraico-veneziano in cui Margherita Grassini, abituata all’agio familiare di un casato impegnato nelle più fiorenti attività economiche della città, sposa Cesare Sarfatti, avvocato di successo e seguace del socialismo riformista di inizio secolo. Ricorda la tragedia atroce del figlio ancora diciassettenne che va volontario nella Prima guerra mondiale, infiammato dagli ideali del nazionalismo, e muore combattendo sul fronte, squarciando il cuore della madre Margherita con una ferita che non si rimarginerà mai.
Ricorda l’appoggio che la Sarfatti, regina della mondanità intellettuale di Milano e di Parigi, concede al Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti. E il sostegno a Umberto Boccioni. E le frequentazioni con Antonio Sant’Elia, con Carlo Carrà, con Mario Sironi, in compagnia del quale la Sarfatti tenterà, tramite il suo rapporto avvolgente con Mussolini, di celebrare lo sposalizio tra le arti e il regime fascista. E la Ferrario descrive anche con dovizia di dettagli le prime incrinature tra il capo del fascismo e la sua amante. Una scia dapprima episodica, poi sempre più avvelenata di insofferenze, risentimenti, ritorsioni, incomprensioni, che sfoceranno nella rottura quando Mussolini stringe l’alleanza con Hitler e si adegua alla follia della persecuzione razzista anti-ebraica.
Tensioni e rotture che non furono determinate solo dalla virulenza antisemita, ma da una forma di rancore prima soffocato e via via sempre più esplicito per la donna che lo aveva avvicinato al mondo cosmopolita dell’arte e della cultura, che aveva fabbricato per lui un passaporto culturale in grado di farlo accettare nella sfera delle élite intellettuali di tutta Europa, ancor prima che il fascismo andasse al potere.
Poi, certo, subentra anche il rapporto con la più giovane Claretta Petacci e la difficoltà di Mussolini a gestire un rapporto duraturo con una donna così difficile come la Sarfatti. Ma nell’asprezza di una rottura e di un tradimento umano prima ancora che sessuale, la personalità della defenestrata Margherita Sarfatti spicca ancora di più per la sua forza. Una figura centrale nella storia culturale italiana del Novecento, che non dovrebbe essere più dimenticata.