domenica 22 novembre 2015

Corriere 22.11.15
Vali Nasr: «Non ghettizzare i musulmani»
«Islamofascismo? Il nodo è la Siria E i Paesi sunniti»
L’Isis è diventato per molti giovani una missione. E una patria da salvare
«I terroristi sono quasi sempre ragazzi nati e cresciuti in Occidente»
intervista di Massimo Gaggi


NEW YORK «L’Europa paga un errore tragico: per anni si è occupata solo della Grecia, che era un problema minore. Atene non sarebbe stata una minaccia alla costruzione europea nemmeno se fosse uscita dalla moneta unica. La Ue, invece, ha ignorato per anni la guerra civile siriana senza capire che proprio da lì poteva partire un attacco capace di mettere in pericolo la sua stessa sopravvivenza come istituzione politica». Profondo conoscitore del Medio Oriente e dei problemi del mondo islamico, Vali Nasr, rettore della Scuola di studi politici internazionali della John Hopkins University d Washington, un accademico americano di origine iraniana, avverte da anni che da Damasco possono partire terremoti capaci di scuotere mezzo mondo.
Non pensa che si siano messi in moto meccanismi che vanno oltre la capacità di mobilitazione di una singola organizzazione terroristica? Ci sono le numerose centrali del terrore africane e molte cellule europee sembrano seguire percorsi autonomi ispirati a eruzioni di quello che alcuni chiamano islamofascismo.
«Non c’è dubbio che sono fenomeni complessi, con molti scenari in movimento. C’è l’Africa, ci sono i terroristi europei pronti a farsi esplodere. C’è chi vede tutto in chiave religiosa, chi teme i rifugiati, chi nega che povertà ed emarginazione sociale abbiano avuto un peso, visto che ci sono anche terroristi cresciuti nella Scandinavia ricca e tollerante. Ci sarà anche una corrente di neofascismo islamico, non lo nego. Ma se andiamo a cercare spiegazioni per tutti i rivoli rischiamo di perdere il quadro d’insieme. Che, a mio avviso, è chiaro: il nodo centrale è la Siria. Se non ci fosse stata la guerra civile siriana, oggi l’Isis non esisterebbe».
Quindi secondo lei gli ordini partono tutti da Raqqa.
«Le strategie sicuramente vengono da lì, mentre per le decisioni e la capacità organizzativa cellule come quelle di Parigi e quella belga di Molenbeek sicuramente possono anche muoversi in autonomia. Ma il fatto che esista un’organizzazione terrorista con una sua base territoriale è cosa di enorme importanza. Sul piano operativo e anche su quello psicologico. Un ribelle reclutato dall’Isis, magari un criminale comune, all’improvviso si sente investito di una missione: ha non solo un’ideologia estremista, ma anche una patria da difendere».
Bombardare le roccaforti del Califfato e cercare di porre fine alla guerra civile contro il regime di Assad, quindi, è più importante della neutralizzazione di tutte le cellule europee...
«La crisi dura da anni, la situazione si è incancrenita nel disinteresse generale. Ora il quadro è talmente grave che non ci possono più essere soluzioni semplici. Servono varie cose, tutte difficili. Intanto porre fine alla guerra civile dando sostanza alle intese raggiunte di recente a Vienna: finché ci sono mille fazioni che si combattono tra loro è impossibile attaccare in modo adeguato e battere lo Stato Islamico. Ma, anche se arrivasse il cessate il fuoco, sarebbe solo un primo passo. Bisogna poi esercitare una pressione fortissima sui Paesi arabi sunniti per obbligarli a smettere — governi e singoli cittadini — di foraggiare o tollerare l’Isis, anch’esso sunnita. Non è più accettabile il doppio gioco di Paesi come l’Arabia Saudita che fa parte della coalizione contro l’Isis, ma, in realtà, si impegna in armi solo contro i ribelli sciiti in Yemen: la minaccia dello Stato Islamico è di gran lunga la più grave anche per loro. L’Europa poi, deve imparare a essere più inclusiva, a non ghettizzare i musulmani, a non abbandonare i giovani alla disoccupazione. Ci sono anche terroristi benestanti, è vero, ma povertà e disagio sociale sono alleati potenti per i reclutatori del califfato».
La sensazione è che il Medio Oriente sia sempre più frammentato e non solo per lo scontro sciiti-sunniti e la deflagrazione del mondo sunnita: milioni di profughi stanno destabilizzando altri Paesi importanti come Giordania, Libano e, soprattutto, l’Egitto, impoverito anche dal crollo del turismo, oltre che dei prezzi petroliferi.
«Sì, ma tutto nasce sempre dalla guerra civile a Damasco. L’onda dei migranti come la diffusione di combattenti sempre più feroci. Oggi siamo tutti attoniti davanti al fenomeno dei foreign fighters che rischiano di tornare dalla Siria a seminare il terrore in Occidente, ma dovremmo ricordarci che già anni fa scoprimmo che gli estremisti più violenti in Algeria ed Egitto erano arrivati dall’Afghanistan».
Negli Usa, che pure di profughi siriani ne hanno accettati pochissimi, siamo alla fobia dei repubblicani con proposte di discriminazione su base religiosa e schedature.
«Sbagliato farsi prendere dalla paura per l’immigrato. Quanto avvenuto fin qui in Europa ci dice che i terroristi sono quasi sempre ragazzi nati e cresciuti in Occidente. Musulmani francesi di seconda o terza generazione, gente che spesso non parla l’arabo. Salvo una o due eccezioni, tra i rifugiati non sono venuti fuori estremisti pericolosi: è gente in fuga dalla guerra che cerca lavoro e di rifarsi una vita. Sbagliato e pericoloso criminalizzarli».