Corriere 21.11.15
Valori liberali
Difendere la tolleranza in un mondo sconvolto
Qualcosa sta cambiando nel nostro modo civile di vivere e sentire gli altri
di Antonio Macaluso
D ue giorni fa, al termine del sanguinoso blitz delle forze di sicurezza francesi a Saint-Denis, siti, giornali e televisioni hanno diffuso le immagini di uno dei terroristi arrestati. L’uomo appare di spalle mentre viene portato via completamente nudo, probabilmente per paura che potesse nascondere una cintura esplosiva. Il plauso per la cattura è stato generale, nessuno ha avuto da eccepire sulle modalità. È questo, nella Francia paladina dei diritti civili e della libertà, è un segnale indicativo. Appena qualche mese fa, il 26 agosto, le foto senza scarpe del marocchino Ayoub El-Khazzani, l’uomo che aveva tentato di compiere una strage sul treno ad alta velocità Amsterdam-Parigi ed era stato fermato da due militari americani in vacanza, avevano suscitato proteste. Khazzani appariva in pigiama, bendato e ammanettato, mentre veniva portato al Palazzo di Giustizia di Parigi. In Francia, in base ad una legge del 1881, è vietato pubblicare foto di persone ammanettate, senza il loro consenso e prima che siano state condannate in modo definitivo. L’avvocato del marocchino, Many Ayadi, aveva sostenuto che «qualsiasi siano la natura e la gravità dei fatti per i quali una persona è accusata, il nostro stato di diritto non può accettare che questo individuo sia trattato in maniera degradante e inumana».
Dunque, qualcosa sta cambiando sul fronte della tolleranza civile e democratica? Lo stato di fatto di guerra con i terroristi dell’Isis sta modificando la percezione dei diritti anche nel cuore, colpito dagli attentati, dell’Europa aperta e liberale? Certamente qualcosa si sta modificando nelle nostre abitudini e nella gestione dei rapporti e il motto volteriano «disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo» sembra perdere appeal e lasciare il passo ad un misto di paura-rancore-vendetta. Sono lontani, e non solo temporalmente, gli anni — era il 2002 — in cui la gran parte dell’opinione pubblica americana ed europea si scagliava contro le fotografie che ritraevano i prigionieri di Guantanamo in ginocchio e ammanettati. La riduzione progressiva delle nostre libertà — prima gli aerei, poi la satira, ora ristoranti, discoteche, stadi, cinema, metropolitane e così via per ogni luogo affollato — abbassa la soglia di tolleranza anche negli strati più liberali e colti dell’occidente. E del resto, uno che di psicologia se ne intendeva, Sigmund Freud, sosteneva che la libertà non è un beneficio della cultura: «Era più grande prima di qualsiasi cultura e ha subito restrizioni con l’evolversi della civiltà».
Certo non può sfuggire il rischio che il vortice di violenza innescato dal terrorismo di matrice islamica trascini il nostro modello di società in una vera e propria guerra tra civiltà, un rischio niente affatto teorico se dovessero prevalere le linee più estremiste di molti movimenti politici e perfino di alcuni governi. Ancorare la fermezza della risposta ai principi liberali di rispetto delle diversità e difesa della dignità dei popoli e dei singoli è la scommessa del futuro prossimo per l’intera comunità occidentale. Poco importa, su questo fronte, la fede religiosa professata perché solo isolando il fronte dei violenti si potrà riconquistare un tasso di vivibilità alto e certo. Dunque, che risposta ci sia, che si bombardi, che si taglino i flussi di denaro che alimentano il terrore, ma senza cadere nella trappola di chi punta a dimostrare che il «nostro» mondo è il vero nemico del rispetto, del dialogo, della dignità. Anche perché, come ammonì papa Giovanni Paolo II, «ogni violazione della dignità personale favorisce il rancore e lo spirito di vendetta».