mercoledì 11 novembre 2015

Corriere 11.11.15
Le tappe di Hitler Verso il genocidio
Sergio Romano risponde a Fabio Della Pergola


Ho letto con interesse la sua risposta sulla questione Hitler-Gran Mufti pubblicata sul Corriere della Sera del 25 ottobre e mi sono trovato a riflettere sulla sua frase: «La prospettiva dello sterminio non apparteneva allora (nel 1939) alla politica del Reich». Andrebbe aggiunto, lo scrive lo storico Daniel Goldhagen ( I volonterosi carnefici di Hitler ), che già in un discorso pronunciato il 13 agosto 1920 e intitolato «Perché siamo antisemiti» Hitler affermava: «Siamo animati dall’inesorabile risoluzione di estirpare il Male (gli ebrei) alla radice, per sterminarlo (“auszurotten”) fino all’ultimo». Nel 1939 dunque la politica nazista certamente non praticava ancora lo sterminio, ma forse non è del tutto esatto dire che la sua prospettiva non le apparteneva; piuttosto che, in quel momento, si preferiva ancora, per tanti motivi, l’espulsione di massa.
A questo proposito, forse sarebbe il caso di aggiungere che con la Conferenza di Evian dell’anno prima, la quasi totalità dei Paesi lì riuniti per affrontare il problema dei profughi tedeschi (fra cui circa 500.000 ebrei) decisero una sostanziale chiusura delle loro frontiere o, al più, un contingentamento a livelli minimali degli ingressi (gli Stati Uniti accettavano solo
10.000 nuovi arrivi all’anno). Né più né meno di quanto vorrebbero fare oggi molti europei
nei confronti di immigrati e profughi.
Quanto al Gran Mufti, mi risulta che ebbe un ruolo significativo nel far fallire la trattativa
fra nazisti e agenzia sionista mirata alla «liberazione» di un certo numero di ebrei ungheresi nel 1944. Un suo ruolo diretto, per quanto parziale, nella Shoah dunque lo ebbe (il che non significa però che l’affermazione di Benjamin Netanyahu sia condivisibile).
Fabio Della Pergola

Caro Della Pergola,
Sulle intenzioni e i sentimenti di Hitler non è possibile avere dubbi. Era convinto che la presenza degli ebrei sul territorio tedesco fosse una minaccia all’integrità morale e razziale della stirpe germanica. Ma la loro eliminazione su scala industriale fu presa in esame e pianificata soltanto quando l’invasione dell’Urss e l’occupazione di terre popolate da grandi comunità ebraiche crearono condizioni che rendevano lo sterminio una ipotesi concretamente realizzabile. Nel 1940, dopo la sconfitta della Francia, Hitler credette per un breve periodo alla possibilità di trasferire nella colonia francese del Madagascar gli ebrei tedeschi e quelli dei territori occupati dalla Wehrmacht.
Il progetto ricordava almeno tre precedenti: l’offerta britannica dell’Uganda nel 1903, la creazione della provincia ebraica del Birobidjan nella regione siberiana del fiume Ussuri, decisa da Stalin negli anni Trenta, un progetto polacco per l’utilizzazione del Madagascar nel 1937. L’Uganda fu respinto dal sesto Congresso sionista; la proposta polacca si arenò a Parigi dove il governo francese non dette alcun seguito alla iniziativa polacca; e gli ebrei che scelsero di vivere nel Birobidjan furono una irrilevante percentuale dell’ebraismo russo-sovietico. La stessa sorte toccò al progetto brevemente accarezzato da Hitler. Il trasferimento di numerosi ebrei in una isola dell’Oceano Indiano avrebbe assorbito energie che occorreva impiegare in altre circostanze. Meno di due anni dopo, l’evoluzione della guerra avrebbe offerto a Hitler il pretesto e gli strumenti per una «soluzione finale».
Quanto al Gran Mufti di Gerusalemme, caro Della Pergola, ho l’impressione che il suo nome venga spesso usato per stabilire una sorta di affinità tra il nazismo e il movimento palestinese. Non mi sembra la strada migliore per la ricerca di una intesa.