Repubblica 9.10.15
Lo scrittore Etgar Keret
“Non c’è più speranza, la violenza aumenterà”
Manca la prospettiva che la vita possa migliorare.E il governo non dà motivi di ottimismo
intervista di Giampaolo Cadalanu
NEANCHE I personaggi più paranoici di Etgar Keret avrebbero immaginato un’escalation di violenza che non risparmia gli adolescenti. L’autore di “Sette anni di felicità” (Feltrinelli) ne è sicuro: all’origine c’è la disillusione.
Signor Keret, che cosa sta succedendo in Israele?
«La situazione sta peggiorando, ma era prevedibile. In Medio Oriente le cose non restano mai le stesse, se non migliorano allora si stanno deteriorando. Se non c’è più speranza che la vita possa migliorare, la via verso la violenza è aperta».
Ma com’è cominciata quest’ultima escalation?
«È partito tutto dal Monte del Tempio (la Spianata delle Moschee, ndr ). È un luogo delicato: se si cerca di cambiare lo status quo o di spingere in una nuova direzione, si finisce nella violenza. È la meccanica delle cose».
Che cosa intende?
«Al di là delle ideologie differenti, c’è qualcosa che è quasi meccanico. Si sa che quando si compie un’azione, la conseguenza è morte e distruzione. Non conta più che l’azione sia giusta, o corretta dal punto di vista ideologico, conta che a seguito di quest’azione alcune persone verranno uccise».
Chi sta perdendo la speranza? I palestinesi, o anche gli israeliani?
«Tutti e due, perché il governo israeliano non dà nessun motivo di ottimismo. Chi guarda al futuro e immagina qualche progresso, vede intorno ministri come Naftali Bennett, che continuano a dire: liberiamoci di questo progetto dei due Stati, non funzionerà mai. Con gente che ragiona così è molto difficile coltivare la speranza. Ed è ovvio che così la violenza non si fermerà».
Come attribuirebbe la responsabilità di questo peggioramento? Che ruolo ha il governo israeliano, che ruolo l’Autorità palestinese, Hamas, la comunità internazionale?
«In questo conflitto non serve chiedersi quale parte abbia più colpe, ma quale parte ha più possibilità di fare la differenza. E credo che sia lo Stato di Israele ad avere più possibilità, perché è molto più forte. Se due fratelli, uno grande e uno piccolo, litigano, ci si aspetta che sia quello grande ad agire in modo più responsabile. Non è un problema di colpe o ragioni: anche se non si ha colpe, si ha responsabilità. E di sicuro Israele ha una maggiore capacità di introdurre il cambiamento. Sarebbe un’opzione possibile, per un altro premier, non Netanyahu, molto più che per i palestinesi».
Crede che l’arte e la letteratura possano servire a cambiare qualcosa?
«L’arte è come un sussurro, può cambiare chi è disponibile ad ascoltare, non chi si rifiuta. È una forza, ma una forza debole».