mercoledì 7 ottobre 2015

Repubblica 7.10.15
Iraq, i dubbi il rischio e la ragion di Stato
Il governo Renzi cerca un’investitura internazionale ma deve fare i conti con la bandiera (e i voti) dei pacifisti


LA CRISI nel triangolo Siria-Iraq-Libia rappresenta una fondamentale prova di maturità per il governo Renzi, desideroso da tempo di un’investitura internazionale densa di riflessi sul piano interno. Se il presidente del Consiglio ambisce a una leadership pluriennale, il tema della politica estera diventa centrale. In questo caso politica estera significa area mediterranea, Medio Oriente — compresi i temi dell’immigrazione — e ovviamente rapporti con il resto d’Europa e con gli Stati Uniti.
Renzi ha sofferto come una ferita d’immagine la recente esclusione dell’Italia dal vertice di Parigi organizzato dalla Francia con Gran Bretagna e Germania: un colpo alla credibilità che Roma sta tentando di riconquistare. Pochi giorni dopo, alle Nazioni Unite, il presidente del Consiglio è stato esplicito: “Siamo pronti ad assumere un ruolo guida nella stabilizzazione della Libia”. In altri termini, Roma soffre le esclusioni e cerca di ritagliarsi un ruolo, peraltro vitale per gli interessi economici del paese. Ma tutto si tiene: Libia, Siria e Iraq sono tasselli dello stesso mosaico che lo Stato islamico (Isis) sta cercando di distruggere. Se l’Italia vuole avere una parte in una sfida che è militare, sì, ma soprattutto politica, deve assumersi qualche rischio in più, ovviamente nell’ambito della Nato. Tesi condivisa dall’amministrazione Obama che da tempo spinge per un maggiore coinvolgimento dell’Italia.
Ecco allora il messaggio implicito che deriva dallo smacco di Parigi, nel quale le responsabilità dell’Alto Commissario Mogherini sono assai più tenui di quanto si sia voluto accreditare in certi ambienti. La partecipazione italiana alle operazioni militari contro l’Isis è stata fino a oggi troppo blanda per accreditare Renzi come partner a tutti gli effetti nel processo di stabilizzazione nel Mediterraneo. Del resto, l’intervento di Putin ha scosso l’albero, costringendo tutti a rivedere le vecchie posizioni. I maggiori paesi europei, su impulso della Francia, si stanno coordinando e gli Stati Uniti incoraggiano.
L’Italia potrebbe impiegare i suoi Tornado — quattro, si dice — sui cieli dell’Iraq e non della Siria. L’apporto militare alla causa sarebbe modesto, ma sotto il profilo politico il salto di qualità sarebbe notevole. Niente più porte chiuse in faccia a Parigi o altrove. E l’ipotesi di un futuro ruolo-guida in Libia acquisterebbe contorni di credibilità finora carenti. In fondo si tratterebbe di azioni poco più che dimostrative: meno di quanto fece il governo D’Alema nella guerra dei Balcani e meno delle missioni compiute dall’aviazione nella prima guerra del Golfo. Qualche rischio, certo, a fronte di un tornaconto politico indubbio. In Europa e a Washington.
A questo punto, tuttavia, cominciano i dubbi, soprattutto di politica interna. Un impegno militare comporta due conseguenze. Da un lato, in Parlamento prenderebbe forma la larga convergenza che in passato si è registrata in analoghe occasioni ( ad esempio per l’Afghanistan). Dal Pd a Forza Italia passando per i centristi il sostegno al governo non mancherebbe. Di recente anche Salvini si è espresso, con il suo linguaggio, a favore di un intervento, sia pure riferendosi alla Libia. Se servirà votare una mozione, Renzi non corre rischi.
AL CONTRARIO, il Pd tende a riaggregarsi perché anche la minoranza sosterrà, al momento opportuno, l’azione in Iraq. Del resto, una coalizione internazionale esiste già, nonostante l’assenza dell’Onu. E lo stesso capo dello Stato, contro cui si è scagliato Grillo, ha detto che l’Isis si contrasta con una larga alleanza di governi.
Dall’altro lato, c’è il timore di come reagirebbe l’opinione pubblica di fronte all’aggravarsi della crisi. Fino a ieri la tentazione era di dire sì all’intervento per non scontentare americani ed europei, ma di prendere tempo. Adesso invece gli eventi incalzano, fra polemiche peraltro scontate. La bandiera del pacifismo a oltranza l’hanno già raccolta i Cinque Stelle, insieme ai vendoliani. Un segmento che vale circa il 28-30 per cento dell’elettorato. Ma è difficile che Renzi possa sottrarsi a una decisione chiara in tempi rapidi.