Repubblica 6.10.15
Il fattore Denis svuota la destra e può disarmare la minoranza pd
Dalle punizioni simboliche al ruolo di sostegno al governo: ma il nuovo gruppo è anche un rischio per Renzi
di Stefano Folli
LA NASCITA del gruppo di Denis Verdini, subito legittimato da Renzi che ne ha lodato l’impegno per la riforma del Senato, comporta alcune conseguenze, alcune minori e altre di lungo periodo. La prima: le punizioni inflitte ai due senatori verdiniani rei di atti osceni in aula sono state solo simboliche. Il che può dipendere da due fattori: la non chiarissima dinamica dei fatti ovvero la forza parlamentare di cui sono depositari i nuovi alleati, ormai entrati di fatto nell’area della maggioranza. È probabile che entrambi gli elementi abbiano pesato.
Seconda conseguenza: d’ora in poi sarà più difficile immaginare una scissione a sinistra nel Pd. È un tema caldo su cui molti hanno riflettuto nei giorni successivi al piccolo compromesso sulla riforma del Senato. Compromesso troppo modesto per consentire alla minoranza di cantar vittoria e troppo esile per immaginare una sorta di “cogestione” futura del partito. Ne deriva che l’impronta renziana sul Pd si consolida, man mano che a destra il vecchio fronte berlusconiano si sgretola. L’avvento di Verdini sul palcoscenico nazionale è il prodotto di questo smottamento, tale da autorizzare per la prima volta le ambizioni del “partito di Renzi”, volto alla conquista di quell’elettorato. Con una differenza: Verdini organizza il campo parlamentare e si prepara ad accogliere altri parlamentari ex Forza Italia ma non solo. Viceversa Renzi lavora per intercettare il consenso di opinione, anche o forse soprattutto con le proposte economiche e il taglio annunciato delle tasse.
In tutto questo il destino dei bersaniani sarà di essere sopportati dal leader, senza garanzie reali circa le future liste elettorali. Del resto, il premier sembra dare per scontato che lo spazio a sinistra — sociale ed elettorale — a disposizione di eventuali scissionisti sarebbe poca cosa. Difficile dire se il presidente del Consiglio (e segretario del Pd) ha ragione, ma è un fatto che in Europa la sinistra, e non solo quella tradizionale, sta vivendo un profondo malessere. L’iniziativa è nelle mani dei moderati che spesso appaiono dinamici e più creativi dei loro stanchi antagonisti.
In Portogallo il voto di domenica è appannaggio del leader conservatore, un europeista ortodosso e filo-austerità. In Grecia, poche settimane fa, Tsipras ha, sì, ottenuto il consenso per governare, ma solo dopo aver smentito se stesso e adottato la linea del “memorandum” europeo. Anche qui ha prevalso la linea della Commissione, coincidente con quella della Germania. Le sinistre che dovrebbero rappresentare un’altra idea d’Europa sono sconfitte in questi paesi e pure in Spagna i sondaggi delineano un forte ridimensionamento di “Podemos”, il movimento anti-establishment nemico del rigore economico.
E in Italia? Che qualcosa sia cambiato nel profondo della sensibilità popolare lo dimostrano le recenti feste dell’Unità, dove le posizioni della sinistra interna non hanno quasi mai suscitato emozioni. I più sono sedotti dal riformismo renziano, altri sostengono Grillo o sono tentati di farlo. Ne deriva che minacciare oggi una scissione, magari motivandola con le politiche economiche del governo, rischia di essere inutile. O addirittura di rivelarsi un vantaggio per il premier, libero di seguire la sua strategia centrista e trasversale.
È CHIARO che i trasformisti di Verdini non avranno bisogno di entrare formalmente nella maggioranza, cioè di votare la fiducia. Non è questo che serve al presidente del Consiglio. Così come Renzi non desidera che la forza di attrazione del nuovo gruppo finisca per destabilizzare la pattuglia di Alfano, il cui spazio si è già drammaticamente ristretto. La funzione di Verdini sarà quella di svuotare il mondo berlusconiano un passo dopo l’altro, testimoniando l’emergere della nuova realtà renziana. Realtà in cui alla sinistra interna rischia di essere destinato un ruolo residuale, mentre il consolidarsi di un inedito alleato di centro-destra, debole nei voti ma saldo nei numeri parlamentari, potrebbe diventare il segnale che i vecchi equilibri sono saltati.