lunedì 5 ottobre 2015

Repubblica 5.10.15
La minoranza Pd sfida Denis “Provoca, ma non ci ha sostituito”
di Goffredo De Marchis


ROMA Troppi riconoscimenti a Verdini, troppo pochi per la sinistra Pd. La storia si ripete e, nonostante l’accordo interno sulla riforma costituzionale, i bersaniani rimangono vigili sulle operazioni attribuite a Matteo Renzi. In particolare, quella di tenere sotto pressione sia la minoranza dem sia il Nuovo centrodestra agitando i consensi del gruppo di Ala come gamba sostitutiva per la coalizione. «Operazione fallita», dicono i bersaniani. «La prova che i voti di Verdini siano determinanti non c’è, anzi», spiega Maurizio Migliavacca, tessitore delle mosse della minoranza a Palazzo Madama e braccio destro di Bersani. A parte il voto finale sull’articolo 2, la maggioranza ha sempre viaggiato intorno a quota 170, ovvero i 12 senatori di Ala non sono stati indispensabili. Finora. Ma se l’obiettivo è portare nella maggioranza Verdini e Barani, «allora si aprirebbe un problema politico», è la posizione dei bersaniani.
La minoranza Pd esorcizza gli effetti del sostegno di Verdini alla riforma costituzionale. E sfida Renzi e lo stesso leader di Ala: «Finora Verdini è stata decisivo solo per mandare sotto il governo. Nel voto sulla Rai...», insinua un bersaniano. Sono solo provocazioni perciò quelle del senatore toscano quando dice che Bersani ha perso la sua «golden share» sull’esecutivo. E Migliavacca sorride di fronte alle battute di spirito dell’ex coordinatore di Forza Italia. «Non l’ho visto in tv. Mi hanno detto che ha cantato una canzone dove c’è anche il mio nome — dice —. Ma è stato affettuoso, simpatico». La sostanza, secondo la sinistra interna, è che Ala partecipa alle riforme, però non è dentro la maggioranza, i suoi consensi non sono sostitutivi nè della minoranza Pd nè del Nuovo centrodestra, altro bersaglio dell’operazione responsabili verdiniani. Però non va giù che Boschi e Renzi celebrino i voti di Ala come il grande successo della settimana passata. «Un atteggiamento incredibile - dice Federico Fornaro- che dimentica i nostri meriti». Fornaro, ex dissidente ricorda che mancano ancora molte votazioni, che ci sono altri punti caldi della riforma da approvare: la platea degli elettori del presidente della Repubblica e la norma transitoria. Una minaccia?
No, è la risposta. Non significa rimettere in discussione il patto interno al Pd che ha costruito la discesa per la riforma. Significa però che il percorso non è finito e oggi, per esempio, arriverà la “sentenza” sul gesto sessista di Lucio Barani. Qualun- que decisione provocherà nuove tensioni in aula.
Verdini naturalmente fa il suo mestiere che è quello di valorizzare il suo ruolo, di ingigantirlo per attirare altri arrivi di transfughi dal centrodestra. Piazzandosi al centro non solo della scena mediatica ma degli schieramenti politici sta certamente provando a togliere spazio ad Angelino Alfano. Del resto, la presenza costante al Senato del ministro dell’Interno, durante le votazioni fondamentali, non è passata inosservata. Renato Schifani assicura però che sta succedendo esattamente il contrario, almeno con l’Ncd. «La manovra di Denis ha ricompattato il nostro gruppo - spiega il presidente dei senatori alfaniani - . Tutti abbiamo capito che si doveva partecipare compatti al cammino delle riforme anche per crescere politicamente». Le sette assenze Ncd al momento del voto finale sono casuali, dovute alla seduta del sabato. «Niente maldipancia e niente ricatti, nemmeno sulle unioni civili», garantisce Schifani. E nessuna gelosia per il rapporto sbandierato tra Palazzo Chigi e l’ex coordinatore di Fi. Ma le coppie gay saranno tutt’altro che una passeggiata per la maggioranza. Schifani non ha dubbi: «Se ne parla nel 2016. Ora non c’è tempo per metterle in calendario. Abbiamo la sessione di bilancio». Non è la stessa posizione del Pd. Il capogruppo dem Luigi Zanda vorrebbe incardinare il provvedimento il 14 appena finita la riforma. Ed è la stessa linea di Maria Elena Boschi. Serve a fissare dei tempi, a certificare la volontà di andare fino in fondo. Ma Schifani ribatte: «Mi sembra impossibile.

MA DEI TRE CHE “NON CI STANNO”, DUE SONO TOCCI E MINEO... SI DICONO DI SINISTRA, MA NON HANNO ANCORA CAPITO CHE NOI A SINISTRA FACCIAMO BASE SULLA UGUAGLIANZA  DEGLI ESSERI UMANI E CHE QUINDI IL RIFIUTO DEI RAZZISTI E PER NOI UNA DISCRIMINANTE  IRRINUNCIABILE: LORO INVECE HANNO SALVATO CALDEROLI DALL’ACCUSA DI RAZZISMO, DUNQUE NON CE NE POSSIMO FIDARE!