domenica 4 ottobre 2015

Repubblica 4.10.15
Van Reybrouck “Meglio il sorteggio che queste elezioni”
“Sono diventate un ostacolo, non un canale di partecipazione, un mezzo per prendere decisioni collettive”
intervista di Giulio Azzolini


Tutti la reclamano, ma nessuno ci crede più. Ecco il paradosso della democrazia contemporanea. I populisti danno la colpa ai politici disonesti, i tecnocrati al popolo insipiente, gli entusiasti della Rete al regime rappresentativo. E da qualche anno la scienza politica (Larry Diamond, Larbi Sadiki) parla di «elezioni senza democrazia»: tali sarebbero le consultazioni alterate dai conflitti di interesse, avvelenate dai voti di scambio, truccate dai regimi autoritari, svuotate dagli appelli al popolo… Ma ci voleva David Van Reybrouck per rovesciare la medaglia e prospettare una «democrazia senza elezioni».
Negli ultimi anni l’avevano suggerita, più o meno timidamente, vari politologi (dal britannico Oliver Dowlen al tedesco Hubertus Buchstein al francese Yves Sintomer), ma nessuno con la sagacia dell’intellettuale belga, già autore del reportage bestseller Congo (Feltrinelli).
Signor Van Reybrouck, nel suo “Contro le elezioni” (appena pubblicato da Feltrinelli) sostiene che il voto non è uno strumento democratico.
Perché?
«Oggi è in crisi una particolare forma di democrazia, quella elettiva. Le elezioni sono diventate un ostacolo, non un canale di partecipazione, un fine in sé stesso, non un mezzo per prendere decisioni collettive. Da quando furono adottate, alla fine del Settecento dalle élite borghesi, la politica è completamente cambiata: sono arrivati i partiti, il suffragio universale, i media commerciali, i social network, i sondaggi e ormai viviamo in una sorta di campagna elettorale permanente, combattuta senza esclusione di colpi per accaparrarsi i voti, peraltro sempre più scarsi, di cittadini stanchi e disillusi. Ma, a dire il vero, le elezioni non sono mai state un metodo democratico».
Eppure da oltre due secoli sono uno dei pilastri della democrazia rappresentativa… «Io preferisco parlare di “aristocrazia liberamente scelta”. Le elezioni furono lo strumento con cui, durante le Rivoluzioni francese e americana, una nuova aristocrazia scalzò l’antica aristocrazia ereditaria. Ma sia Montesquieu sia Rousseau, memori della lezione di Aristotele, avevano insegnato che la procedura davvero democratica è un’altra, il sorteggio».
Oggi, però, governare è sempre più difficile e richiede competenze elevate. Ritiene che il sorteggio sia ancora il miglior metodo per selezionare la classe politica?
«Le ragioni pratiche per respingerlo non sono più insormontabili, a differenza dell’Ottocento, quando gran parte della popolazione era analfabeta, i registri delle nascite erano approssimativi e vaste regioni erano incontrollate. Inoltre sono tantissimi gli esperimenti partecipativi di successo, non solo per decidere dove piantare pannocchie e dove invece installare pale eoliche. L’Islanda, per esempio, ha trasformato la propria carta costituzionale attraverso la collaborazione di migliaia di cittadini che modificavano il testo un articolo alla volta ».
Ma tutte le maggiori democrazie odierne, dagli Stati Uniti alla Germania, sono guidate da leadership forti… «È vero. Perciò non penso che le elezioni debbano essere del tutto abolite. Credo piuttosto che, anche nelle democrazie più ricche e avanzate, possano e debbano essere accompagnate dai sorteggi».
Il Parlamento italiano, previsto dalla riforma costituzionale in corso, sarà invece composto da membri nominati dai partiti e da altri eletti dal popolo… «Io credo che i tre quarti dei senatori andrebbero designati per sorteggio e dovrebbero incidere su tutto l’iter legislativo, specie su materie cruciali, come l’immigrazione, l’ambiente, il welfare. Perché la democrazia deliberativa che immagino non ha nulla da spartire con i referendum, che servono solo a confermare provvedimenti già varati da una ristretta cerchia di politici».
Quantomeno a breve termine, però, il “sistema bi-rappresentativo” sembra un’utopia… «Se la politica non spalancherà le porte del palazzo, queste cadranno sotto i colpi dei cittadini. E attenzione: la rapida diffusione dei movimenti di protesta è il sintomo, non la causa, della crisi in cui siamo immersi. Ripristinare il sorteggio è forse l’unico modo affinché la gente torni a credere nella democrazia. E non vedo quale soggetto politico, meglio dell’Unione Europea, possa promuovere questa rinascita».