domenica 4 ottobre 2015

Repubblica 4.10.15
Inside Out
Dove vanno a finire i bambini
Un grande disegnatore, Jimmy Liao, arriva per la prima volta da Taiwan in Italia
Per raccontare il fragile mondo interiore dei più fragili al mondo
di Simonetta Fiori


CI DEVE ESSERE UN LATO NASCOSTO anche nella vita di Jimmy Liao. Qualcosa che spieghi perché alla fine di ogni album il-lustrato non si vorrebbe lasciare andare via i suoi personaggi, lunari e scombinati. Come capita davanti ai titoli di coda d’un film che coinvolge: si resta lì un po’ storditi, ci vuole tempo per allontanarsi dal regista e dalla storia che rivelano qualcosa di noi, degli altri o del mondo. Alcuni l’hanno già battezzato “effetto Liao”, ossia l’arte di raccontare le umane fragilità tra disegno, pièce teatrali e corti d’animazione. Cinquantasette anni, cinese di Taipei, Jimmy Liao è tra gli autori più popolari di libri illustrati nel continente asiatico. Un genere editoriale che a Taiwan, in Giappone o in Corea del Sud è considerato per lettori di ogni età, mentre in Italia è confinato nel mercato per ragazzi. Tradotto in tredici lingue, in Europa e soprattutto in Sudamerica, da noi ha già pubblicato quattro album, tutti nelle Edizioni Abele, e ora è in uscita un quinto sui desideri dei più piccoli. Perché è questo il materiale impalpabile su cui gli piace lavorare, sogni fragili come bolle di sapone, emozioni intime, ferite nascoste, un grande, avvolgente sentimento di solitudine. In altre parole, la vita interiore di bambini e adolescenti, di uomini e donne rivelata con un segno particolare, che a tratti evoca Van Gogh o Magritte, ma anche Klee ed Escher.
«Sono solo un impiegato dell’arte», minimizza lui dal suo studio di Taipei. «Mi piace rendere omaggio a questi grandi artisti, riproponendo una tecnica o facendo entrare nelle mie pagine un celebre capolavoro». Nonostante i riconoscimenti internazionali — premi, film tratti dai suoi lavori, parchi a tema, metropolitane e aerei decorati con le sue immagini, anche uno Swatch a lui dedicato — Liao parla solo il cinese e alla vigilia del suo primo viaggio in Italia, ospite del Festival Tuttestorie, si fa aiutare da Laura Torchio, che è anche la traduttrice dei suoi libri. Artista autodidatta, una lunga esperienza come grafico pubblicitario, il suo stile mescola il linguaggio della tradizione con codici della contemporaneità, dal cinema all’interior design, dalla danza al teatro. «A volte mi sembra di essere il regista di un film su carta. Mi concentro soprattutto sulla relazione tra le immagini rendendola il più possibile fluida, e naturalmente sulla particolare composizione tra illustrazione e testo».
Tutto parte sempre da una visione ricorrente nella sua immaginazione da cui comincia a plasmare la storia. E poi ci lavora con una metodicità disciplinata, regolata su abitudini fisse. «Anche se non c’è l’ispirazione, bisogna comunque disegnare, stimolare il caos creativo, coltivare dentro se stessi questo turbinio finché affiorano nitide le idee». Non sempre le visioni si traducono in qualcosa, e allora se le tiene da parte, nascoste nell’archivio della fantasia, chissà che da queste un giorno nasca un nuovo libro. I suoi lavori sono dedicati a chi «non è in sintonia con il mondo» e ai «poeti», forse anche per questo hanno venduto cinque milioni di copie. Raccontano di cieli stellati solitari, di abbracci dati e negati, di bambini imperfetti, di ragazzine cieche che nel buio caotico della metropolitana scorgono universi fantastici, perché solo scendendo in profondità, molto in profondità, si scopre il colore. E dunque la bellezza. Una metafora che vale anche per i suoi album. «Spero di riuscire a trasmettere il sentimento del bello. Non si tratta di un fatto puramente estetico, ma di un lento addentrarsi nei diversi livelli dell’opera, fino a scovare il significato nascosto illuminato dall’esperienza personale. Andare in profondità, riflettere di più su stessi e sul mondo: il senso del bello nasce da qui».
E allora bisogna scavare anche nella vita personale di Jimmy Liao per scoprire che non è sempre stato così. Prima disegnava tavole molto cariche, esagerate, meccaniche come lo sono i cartoni animati. A cambiarne lo sguardo, una ventina di anni fa, è stata la leucemia. «Anche dopo la guarigione l’ombra della morte mi ha sempre accompagnato, rendendomi timoroso e vulnerabile. Quando uscii dall’ospedale mi chiesero subito di realizzare un progetto ma io non riuscivo più a disegnare con gli stessi colori. Cambiò tutto nel mio stile: non solo nelle tonalità cromatiche, ma anche nelle espressioni dei personaggi e nel
layout delle tavole. Come se la malattia mi avesse insegnato a prendermi cura di ogni tipo di paura». No, il dolore non è fonte di ispirazione, non può esserlo. Il dolore è dolore e basta. «Non aggiunge molte riflessioni sulla vita. Il cambiamento avviene dopo, quando se ne esce. Le mie illustrazioni di oggi vengono da lì, da quel percorso, e non si può tornare indietro perché i miei sentimenti sono radicalmente cambiati».
Da lì proviene anche quel senso di solitudine che avvolge molte delle sue illustrazioni, un singolare intreccio tra malinconia e vitalità, paura di morte e ansia di futuro. Un colore emotivo che non ha a che fare con la sua vita felicemente risolta accanto a una moglie, tre gatte e una figlia che studia in Gran Bretagna. «La solitudine di cui parlo è un fondamento dell’essere. Riguarda la relazione profonda che ciascuno di noi intrattiene con se stesso. Quel lato di noi che evitiamo sempre di incontrare, incompreso anche dalla persona più vicina e che noi stessi non comprendiamo negli altri. Un lato misterioso che non si può spiegare a parole ». Si può solo disegnare.