sabato 3 ottobre 2015

Repubblica 3.10.15
Cosa hanno in comune il Papa e Xi jinping
di Moises Naim


È DIFFICILE immaginare due capi di Stato più diversi: uno è il leader spirituale di un miliardo e duecento milioni di cattolici (il 40 per cento dei quali vive in America Latina), l’altro governa un miliardo e quattrocento milioni di cinesi. Papa Francesco è un leader religioso e Xi Jinping è un leader politico.
Ma le differenze non sono così nette. Quando papa Francesco visita Cuba e ignora i dissidenti che si oppongono al regime dei fratelli Castro, sta prendendo una decisione politica. E quando commuove il Congresso degli Stati Uniti con le sue giuste esortazioni a cambiare atteggiamento nei confronti degli immigrati, della disuguaglianza e dei cambiamenti climatici, agisce come un leader politico. A sua volta, quando Xi Jinping esorta il suo popolo a lottare per «il sogno cinese » o a comportarsi conformemente ai «valori cinesi», è altrettanto evidente che sta cercando di infondere un po’ di spiritualità nelle sue politiche e nella sua leadership.
Tutti e due dirigono organizzazioni enormi plasmate da culture millenarie e scosse dalle trasformazioni che sta vivendo il mondo. Il Vaticano e il Partito comunista cinese – e la Cina – devono cambiare per essere più in sintonia con le nuove realtà. Per questo, nonostante le enormi differenze, il papa e il presidente cinese possono essere definiti due leader riformisti alle prese con sfide molto simili.
1. Sconfiggere i tradizionalisti e trasformare la burocrazia In Cina si chiama Partito comunista e in Vaticano si chiama Curia. Sono potenti burocrazie che Xi Jinping e papa Francesco vogliono cambiare, e questo inevitabilmente li mette in rotta di collisione con individui e gruppi che per attaccamento alla tradizione, perché vogliono conservare potere o difendere interessi, oppongono resistenza alle riforme. Il Papa, oltre a compiere azioni dirompenti come quella di incontrare una coppia gay, ha criticato in modo sferzante la Curia. Ha messo in guardia i membri della burocrazia vaticana dal rischio di sentirsi «immortali, intoccabili e indispensabili», o di cadere in una «fossilizzazione mentale e spirituale », un «Alzheimer spirituale», una «schizofrenia esistenziale», di dedicarsi al pettegolezzo e alla calunnia, blandire i superiori e pensare solo a se stessi. Xi Jinping non è da meno nelle sue denunce della burocrazia cinese e del fatto che leader e funzionari pubblici pensano più ad arricchirsi che a servire il Paese.
2. Lottare contro la corruzione e il materialismo La cosa sorprendente è che entrambi i leader hanno scelto la lotta contro la corruzione fra le loro prime iniziative più visibili. Il Papa ha “ripulito” la corrotta banca del Vaticano, lo Ior, ha mandato un segnale forte di disapprovazione sospendendo un arcivescovo tedesco conosciuto per il suo stile di vita dispendioso e continua ad affrontare con determinazione gli scandali di abusi sessuali. Fra le “malattie” che minacciano la Curia, Francesco include «l’accumulo di beni materiali, la ricerca di benefici terreni e l’esibizionismo».
Xi Jinping è stato più brutale: 414.000 funzionari pubblici sono stati sottoposti a misure disciplinari per corruzione, e altri 201.600 sono stati mandati a processo. Parecchi sono stati giustiziati e Pechino si dà da fare per ottenere l’estradizione di centinaia di imputati fuggiti in altri Paesi.
3. Mantenere l’unità e la coesione.
Sia il Vaticano che il Governo cinese devono far fronte a forti pressioni e divisioni interne, originate dallo scontro fra visioni e interessi contrapposti. E anche dalle esigenze imposte dal progresso tecnologico e dalle profonde convulsioni economiche e politiche del mondo attuale. Anche la rivoluzione delle aspettative e delle aspirazioni di società sempre più informate, che hanno sempre più potere e sono sempre più attive politicamente è una sfida. In America Latina, il numero dei cattolici si è ridotto del 21 per cento dal 2000 a oggi, e negli Stati Uniti per ogni persona che abbraccia la fede ce ne sono sei che abbandonano la Chiesa. Molti aderiscono a Chiese evangeliche, episcopali e pentecostali. La concorrenza mondiale per attirare fedeli è spietata.
In Cina, nonostante possa contare su uno Stato di polizia inflessibile ed efficiente, il governo deve fare i conti con frequenti proteste di piazza e appelli sempre più numerosi a una “revisione del modello”. Difendere il modello era facile quando l’economia cresceva a pieno ritmo, facendo aumentare il reddito dei lavoratori e sottraendo alla povertà milioni di persone. Ma quando questa crescita cessa di essere una realtà certa – come accade ora – il patto sociale che ha consentito al Partito comunista di governare senza opposizione è destinato a erodersi.
Questi sono solo tre dei paralleli fra il pontefice e il leader cinese. Ce ne sono anche altri, ma vanno tutti nello stesso senso: due colossali società millenarie devono adattarsi ai cambiamenti senza perdere la loro essenza, senza frammentarsi e soprattutto senza perdere la legittimità che è alla base del potere che i rispettivi leader esercitano su miliardi di persone. Chi riuscirà a navigare meglio in queste acque turbo-lente, il Governo cinese o il Vaticano? Ancora non possiamo saperlo. Ma la cosa certa è che sono due organizzazioni grandi, gerarchiche, centralizzate e lente. E sono obbligate a svilupparsi in un mondo dove velocità e agilità sono requisiti indispensabili per riuscire. Trasformare queste gerarchie rigide è una delle sfide più difficili per papa Francesco e Xi Jinping. E gli effetti delle loro azioni si faranno sentire non solo per i cinesi o i cattolici.