sabato 31 ottobre 2015

Repubblica 31.10.15
Roma, l’anno zero della sinistra
di Stefano Folli


NELL’EPILOGO amaro della vicenda Marino il vulnus alla democrazia c’entra poco o nulla. Non abbiamo assistito a un golpe contro il sindaco che si dipinge novello Allende, dopo essere stato Che Guevara tre giorni prima. La realtà è meno eroica: Marino esce di scena per la sua incompetenza e i suoi reiterati errori. Di sicuro il Pd, sballottato e confuso, non è in grado di organizzare colpi di Stato.
NON È nemmeno sicuro che a Roma riesca a sopravvivere all’attuale sfacelo. Quindi nelle parole dell’ex sindaco il richiamo virtuoso ma retorico alle regole della democrazia assomiglia all’appello ai valori patriottici fatto da certi personaggi della storia finiti in un vicolo cieco, ormai a corto di altri argomenti.
Risulta chiaro, infatti, che il primo a evitare l’aula consiliare nelle lunghe settimane della crisi è stato l’ex sindaco, che ne avrebbe avuto tutte le opportunità. Viceversa, il desiderio tardivo di un dibattito chiarificatore è stato piuttosto l’estremo tentativo di guadagnare tempo e di gettare altro fango sul Pd. Che si sarebbe trovato di fronte alla drammatica alternativa: votare le mozioni di sfiducia insieme alle opposizioni, specie quella di destra, oppure piegarsi e rimettere sul trono Marino. In un caso come nell’altro la definitiva mortificazione pubblica del partito renziano era assicurata e con essa la vendetta del sindaco.
L’espediente delle dimissioni dei 26 è in sé desolante ed esprime tutto il vuoto politico in cui annaspa il centrosinistra romano. Ma giunti agli ultimi cento metri della corsa sarebbe stato peggio accettare il percorso indicato da Marino, finendo per pagare un prezzo politico persino superiore a quello che il Pd sta già pagando. Adesso invece il dado è tratto e comincia un’altra storia, in cui le incognite e le difficoltà sono senz’altro ancora più insondabili e gravose. In effetti la rimozione del sindaco costituiva, sì, una pagina senza precedenti, ma chiara nella sua dinamica. Di conseguenza, le polemiche sollevate rientravano nella prevedibilità dello scontro di potere. Adesso è tutta un’altra vicenda. Non si tratta solo di dimenticare Marino — sarebbe il meno — bensì di restituire alla città disastrata un senso, un’identità. E di farlo rispettando le scadenze e gli impegni del Giubileo alle porte. In un certo senso, Roma è all’anno zero, come la Germania di Rossellini, e non basta certo il trionfalismo dell’ex sindaco per cambiare le carte in tavola.
I fatti dicono che chiunque voglia ricostruire il centrosinistra, e provare a impedire che in Campidoglio si accomodi fra pochi mesi un sindaco a cinque stelle, ha bisogno di condizioni eccezionali che al momento non ci sono. Quelle che si vedono sono solo le macerie nel campo del Pd, dove nessuno è innocente e tutti d’ora in poi dovranno rimboccarsi le maniche. Lo stesso Renzi, che fin qui si è defilato, adesso è atteso a una prova non banale di leadership. Anche perché le decisioni dovranno essere in linea con la gravità della crisi, che non riguarda solo un sindaco inadeguato, ma investe la mancanza di credibilità di una classe dirigente locale. Ammesso che quando si parla della capitale d’Italia il termine “ locale” non sia riduttivo.
Renzi — e non altri — è chiamato a compiere scelte senza precedenti, rese tali dai colpevoli ritardi con cui egli stesso ha affrontato il caso Marino. È evidente che la prima mossa dovrà essere la nomina di un commissario inappuntabile, probabilmente un prefetto al di sopra delle parti. Ma subito dopo si porrà il problema di individuare il nome del candidato sindaco da far ratificare poi attraverso le “primarie”, l’istituto che fin qui non ha dato una splendida prova di sé. L’unica decisione che renderebbe competitiva la corsa elettorale e metterebbe in qualche difficoltà i Cinque Stelle è l’abbandono delle sigle partitiche. Il candidato renziano al Campidoglio dovrebbe porsi alla testa di una lista di convergenza civica in cui si sono fuse le vecchie sigle del centrosinistra, al termine di un sentiero purificatore capace di eliminare tutti i maneggioni e i profittatori della politica. Forse non è ancora troppo tardi.