giovedì 29 ottobre 2015

Repubblica 29.10.15
“La mia maledetta Inghilterra”
David Peace racconta il suo Paese in chiave noir “Ma spero in Corbyn”
di Antonello Guerrera


Il suo cognome significa “pace”, anche se ce n’è ben poca nei suoi libri. «Da bambino avevo paura. La paranoia mi lacerava. Pensavo che mio padre potesse essere quel misterioso serial killer che da anni sbranava il West Yorkshire. La sera non volevo mai addormentarmi prima di lui. Ho cominciato a documentarmi. A leggere Sherlock Holmes e Chandler. E a scrivere ».Oggi David Peace ha 48 anni, è uno dei più grandi romanzieri inglesi viventi e i suoi noir rudi e bruschi sono stati affiancati a James Ellroy. Adesso, dopo i venerati
Il maledetto United e Red or Dead su due irripetibili allenatori del calcio inglese del secolo scorso come Brian Clough e Bill Shankly, Peace è tornato in libreria con una storia nerissima.
1980 , ripubblicato da Il Saggiatore, è il terzo capitolo della celebre tetralogia “ Red riding Quartet” sullo “Squartatore dello Yorkshire”. E cioè Peter William Sutcliffe, 69enne ergastolano che alla fine degli anni Settanta insanguinò l’Inghilterra del Nord con sacrifici spettrali. Tredici donne, in gran parte prostitute, martoriate, seviziate, terminate. Forse erano anche di più: la scorsa estate il Daily Mail ha parlato di altre 23 possibili vittime del mostro, casi probabilmente “insabbiati dalla polizia”.
«Uno dei primi omicidi avvenne a pochi chilometri da casa, nei pressi di Leeds. Faceva caldissimo. Noi ragazzini eravamo scioccati: ogni giorno, in classe, ognuno sospettava del genitore dell’altro», ricorda Peace dalla sua casa di Tokyo, dove vive da anni perché in Inghilterra non riusciva più a scrivere: «Solo qui ho ritrovato ordine, routine».
E oggi quali sono le cicatrici di quell’infanzia tremenda, mister Peace?
«La mia generazione ne è stata segnata per sempre. Ricordo mia madre quando andava a messa nel pomeriggio: ogni giorno temevo non tornasse più a causa del terrore che infettava la nostra comunità. Una comunità già malata di suo, peraltro. Crimini del genere non arrivano mai per caso».
In che senso?
«In quegli anni il nord del Paese era misogino, brutale. Per molti inglesi le donne erano automaticamente prostitute. E poi la crisi, la disoccupazione, lo stesso paesaggio, così aspro. Tutto ha contribuito alle stragi. Quel male non era solo opera di un matto come Sutcliffe. C’era un contesto che lo favoriva».
Lei ha detto che i thriller sono come favole, perché?
«Perché hanno la stessa funzione: l’avvertimento. Come una morale, con la tetralogia del “Red Riding” volevo mostrare le conseguenze di una società afflitta da disastro economico, odio, sessismo, violenza».
E lei ogni tanto pensava che suo padre fosse un orco.
«Ma non gliel’ho mai detto. Almeno fino a quando è uscito
1980 . Allora lui ha capito. E ha sorriso, amaramente».
Oggi cosa prova a rileggere un libro cruciale per lei, che tra l’altro è stato il suo primo successo?
«Non ho mai capito il segreto di questo libro. Sicuramente, rispetto ai precedenti, ho scritto con maggiore moralità, regalando più voce ed empatia alle vittime. Ma non ricordo niente di quei giorni. Quando scrivo, vado in trance. E rimuovo tutto. O meglio, quasi tutto».
Cioè?
«Durante 1980 ho capito che noi scrittori non dovremmo mai esagerare con il dolore. A differenza del primo capitolo della serie, 1974 , ho usato le parole giuste. In precedenza, invece, avevo enfatizzato eccessivamente i crimini che ho raccontato. Per poi sentirmi in colpa. Avevo fallito nel mostrare il vero lato dell’orrore. Ero scaduto soltanto in un bieco sensazionalismo ».
Quella fetta di Inghilterra dei suoi romanzi è ancora il suo cuore di tenebra?
«In un certo senso sì. Le macerie del nostro passato sono sempre lì, nonostante i centri commerciali e le strade più pulite. Ma oggi, basti pensare alla crisi dei rifugiati, il vero cuore di tenebra non è più tra noi, ma intorno a noi. Dove gli umani muoiono ogni giorno sotto le bombe, o per fame. Sta finendo un’epoca, come quando si sgretolò l’Impero Romano. Ma molti fanno finta di non capire».
Le piace il suo Paese oggi?
«No. Le divisioni nella società sono sempre più acute. E poi mi sembrano tutti preda di una schizofrenia collettiva. Quando torno in Inghilterra, vedo sempre più individui e meno persone ».
E il calcio inglese, la sua seconda grande passione? I suoi libri su Shankly e Clough, vincitore di due eroiche Coppe Campioni nel 1979 e ’80 con il Nottingham Forest, hanno trascinato i tifosi di tutto il mondo.
«Quelli sono tempi lontani. Oggi il calcio non mi piace per vari motivi: la distanza tra club e tifosi, la distribuzione ingiusta dei proventi, il culto della celebrità. Tuttavia, solo il calcio riesce ad alienarmi dal mondo. Quando c’è una partita, per me esiste poco altro. È una sorta di benedizione».
Dai suoi libri, lei pare un uomo di sinistra.
«Sono laburista. Da sempre».
Come giudica Jeremy Corbyn, il nuovo leader del partito?
«Sono fiero di averlo votato alle primarie. Negli ultimi anni il Labour non ha avuto niente a che fare con il socialismo. Corbyn è il miglior leader che potessimo avere dopo Harold Wilson e Michael Foot. E, finalmente, incarna ciò che penso: più sanità pubblica, più Stato, più sindacati, meno austerity , meno finanza speculativa. È un momen-to storico per noi e gli elettori vogliono questo oggi. Basta andare nei pub o scendere in strada per capirlo».
Crede davvero che un candidato radicale come Corbyn possa vincere le elezioni?
«Il punto è proprio questo. Corbyn fino a un anno fa non era nessuno. Oggi, invece, può vincere, ma non per meriti particolari. Semplicemente, perché è diventato la voce di una società che non aveva più riferimenti ».
Tutti gli editori l’hanno ignorata per oltre quindici anni prima che lei potesse pubblicare il primo romanzo. Come ha fatto a resistere?
«Ho toccato il fondo molte volte. Tutti mi rifiutavano, nonostante facessi l’impossibile per essere accettato. Ero depresso, a pezzi».
E poi?
«Nel 1992 me ne sono andato un paio di anni a Istanbul alla ricerca di nuova ispirazione, ma niente. Non ho scritto una riga. Poi però, nel 1995, a Tokyo, ho ripreso, piano piano. Ho pubblicato 1974 . E ho capito il segreto ».
E quale sarebbe?
« 1974 l’ho scritto solo per me. Solo per me. Non per gli altri».
IL LIBRO 1980 di David Peace (Il Saggiatore, trad. di M. Pensante pagg. 393, euro 21)