Repubblica 28.10.15
Una collezione di meraviglie dal mondo
Le maschere del Gabon dialogano con la “Femme Nue”di Picasso
di Chiara Gatti
Viaggio nella raccolta del Museo delle culture, tra i tesori eccentrici di un palazzo enciclopedico
Iguana gigante e cranio di delfino, zanna di elefante e rami di Acropora, il corallo argentato che sboccia sulle scogliere dell’Oceano Indiano. Sembrano gli ingredienti di una pozione magica, reperti biologici per esperimenti stregati. Di esperimenti si tratta, ma non prodigiosi: scientifici. Quelli che, nel cuore del Seicento barocco, sensibile alle rarità stupefacenti, videro Manfredo Settala, canonico votato alla storia naturale, costruire un museo eclettico del sapere (meta)fisico. Una wunderkammer zeppa di esemplari misteriosi di un mondo sconosciuto.
Si apre su questa camera delle meraviglie il percorso che scava nelle collezioni permanenti del Mudec di Milano. Ottomila i pezzi nei depositi di una raccolta etnografica fra le maggiori in Italia, che ne sfoggia oggi, per la prima volta, una selezione importante, allineata nelle vetrine razionaliste disegnate dall’architetto David Chipperfield. I tesori eccentrici di Manfredo, zoologo curioso, Archimede milanese, sono passati dagli scaffali della Biblioteca Ambrosiana – a cui li avevano donati gli eredi del canonico dopo la sua morte – alla prima sala del Museo delle culture, ottenuti in comodato come testimoni di una passione per uomini colti impegnati, all’alba dell’illuminismo, a miscelare scienza e fantascienza, disciplina e superstizione.
Non stupisce l’accostamento fra gli scheletri dei molluschi del Pacifico e gli ossi di balena torniti come ampolle; un nautilus incastonato a mo’ di coppa su uno stelo dorato sta vicino a un automa diabolico che Settala costruì montando sul torso di un Cristo ligneo la testa di un satanasso che muove la bocca, complice un meccanismo di precisione.
“Mirabilia e naturalia” punteggiano un palazzo enciclopedico dove il viaggio si snoda attraverso altri casi di collezionismo extraeuropeo, nati dalle vicende delle grandi esplorazioni, dei viaggi religiosi, del colonialismo. I globetrotter dell’Ottocento tornavano da mete lontane carichi di souvenir. I medici, durante le spedizioni della marina militare, catalogavano ogni specie animale ai confini del globo. I missionari stilavano schedature botaniche. I mercanti sceglievano, alle fiere dell’est, oggetti di gusto da affidare alle manifatture europee perché ne clonassero i decori.
Porcellane, smalti, lacche, corazze da samurai del periodo Edo, portantine per dame del Ukiyo, il “mondo fluttuante” del Giappone buddhista, approdavano in occidente per nutrire la nuova moda “ exotica”. Il visitatore può aprire i cassetti delle teche e scoprire un numero impressionante di reperti. Novanta oggetti litici precolombiani, punte di frecce, pestelli, raschietti. Settecentocinquanta bracciali di bronzo dell’Africa centrale usati come moneta di scambio. Milleduecento tessere d’oro di una veste regale peruviana. Sullo sfondo, un video di Paolo Ranieri, ex regista di Studio Azzurro, ripercorre l’avventura delle collezioni sopravvissute ai drammi dei bombardamenti, imballate e trasferite dal Castello Sforzesco al sanatorio di Sondalo, in Valtellina. In una foto d’epoca si vede la divinità tibetana dalle trenta braccia, spuntare fra le macerie. Adesso è qui, nella sala che ospita le sculture monumentali.
Le raccolte africane, le maschere, i reliquiari del Gabon dialogano, a sorpresa, con la Femme Nue di Picasso, prestata dal Museo del Novecento, per spiegare il debito dell’arte moderna verso le culture tribali. Un colloquio fra passato e presente che si chiude su una mostra a tema dove i tessuti andini sono affiancati alle fantasie astratte dei coniugi Albers, i maestri del Bauhaus sfollati in Messico e sedotti dalle geometrie arcane dei Maya.