mercoledì 28 ottobre 2015

Repubblica 28.10.15
Il bivio del Pd tra il partito di Renzi e un’altra sinistra
L’idea di una spaccatura consensuale andrebbe fondata su un colpo d’ala non su polemiche di corto respiro
di Stefano Folli


DICEVA giorni fa il sindaco di Milano, Pisapia, che certo non è un renziano: «È assurdo considerare il premier come un nemico della sinistra». Qui infatti è il nervo scoperto. La polemica sul contante, poi sugli evasori fiscali, gli strascichi della contesa sul Senato, i ricorsi in tribunale sulla riforma elettorale... Sono tutti temi, talvolta pretesti, destinati a scavare un solco all’interno del Pd fra i seguaci di Renzi e i suoi avversari.
Chi è in definitiva il presidente del Consiglio e segretario del maggiore partito di centrosinistra? Un intelligente riformatore che vuole emancipare certa sinistra italiana dai suoi vizi storici e da una vecchia pigrizia conservatrice? Ovvero un avventuriero che sta snaturando il Pd per trasformarlo in un partito di centro, quando non addirittura di centrodestra, a costo di rispolverare i cavalli di battaglia elettorali di Berlusconi, compreso il “no” alla tassa sulla prima casa?
In apparenza il quesito è stato già risolto a favore del premier. La filosofia pratica di Renzi è semplice: con me si vince, con Bersani o chi per lui si perde; con me si fanno le riforme, con i miei avversari si fanno solo chiacchiere. Ma tale metodo sbrigativo è in controtendenza con sentimenti e frustrazioni ben diffusi. Non si tratta solo di regolare i conti all’interno del Pd. Se si alza lo sguardo, si vede che i Cinque Stelle sono saldamente il secondo partito e potrebbero giocarsela in caso di ballottaggio, quando Renzi sconterà le rigidità del modello elettorale. E dove non arrivano i grillini, ecco la Lega di Salvini, ecco un pezzo della vecchia galassia berlusconiana in via di disfacimento.
Tutti insieme questi segmenti della realtà italiana si collocano ben al di sopra del 40 per cento. Per cui di sicuro il risultato elettorale al secondo turno non è scontato. Del resto, nulla lo è, se si pensa che in Polonia ha appena trionfato una forma di populismo nazionalista euro-scettico, nonostante anni di ottima crescita economica. E qui Renzi tocca il punto quando dice dall’America Latina: «Attenti che dopo di me non c’è un’altra sinistra, ma solo il ripiegamento populista come a Varsavia». Vero o no, è un argomento da non sottovalutare. Che prefigura il cammino del Pd verso l’appuntamento con le urne, nel 2017 o ‘18: il “partito di Renzi” come unico antemurale rispetto alle forze anti-sistema. E chi pensa di indebolire il fronte, inseguendo il sogno di una sinistra diversa dal “renzismo”, si assume una grave responsabilità. Questo è il messaggio che arriva da Palazzo Chigi, ma non è detto che sia l’ultima parola.
Nella recente intervista di Franco Monaco a Repubblica si affaccia un’idea diversa che mette nel conto la spaccatura («consensuale») del Pd, la creazione di un nuovo gruppo e il successivo accordo di coalizione con il partito renziano. Una formula che piace anche ad altri e richiama il centrosinistra classico, con la Dc (Renzi) e i suoi alleati ( Alfano sulla destra, gli scissionisti Pd sulla sinistra). Ovvio che l’ipotesi è vaga e richiede come premessa un correttivo all’Italicum con il premio assegnato alla coalizione e non alla singola lista. Ci sono peraltro numerosi aspetti da chiarire prima di immaginare, anche solo immaginare, un simile sbocco.
IN primo luogo, l’operazione non può essere una chiamata a raccolta del ceto politico. Occorre fondarla su un colpo d’ala, su una visione dinamica del centrosinistra: i piccoli compromessi e le polemiche di corto respiro servono a poco. In secondo luogo, serve un serio “casus belli” per rompere l’unità del partito. La legge di stabilità, proprio perché tenta di essere espansiva, non può essere un convincente terreno di scontro. Inoltre il nuovo gruppo avrebbe bisogno di credibilità e di un leader. Franco Monaco è molto vicino a Romano Prodi, ma è prematuro e forse anche arbitrario supporre che l’ex premier abbia voglia di tornare nell’arena. Oltretutto il raggruppamento avrebbe bisogno di una percentuale importante per far da contraltare a Renzi: il 12-15 per cento. Prima delle elezioni amministrative non si deciderà nulla. E comunque si dovrà considerare il peso effettivo dei Cinque Stelle nelle grandi città, a cominciare da Roma.