Repubblica 25.10.15
Franco Monaco
“Se nasce una forza con consensi a due cifre può costringere il premier a modificare l’Italicum”
Monaco rompe il tabù “Scissione amichevole basta liti su tutto nel Pd”
Il senatore prodiano attacca il “centrismo” di Renzi
Serve un’operazione politica vera, inutili le uscite individuali
Diamoci atto delle incompatibilità e addio senza anatemi
Il deputato dice di Bersani: “Ha il mito dell’unità stile-Pci, lui non parteciperà mai a una scissione”
intervista di Roberto Rho
MILANO Franco Monaco, ex presidente di Azione cattolica, prodiano del Pd, ha partecipato alla “cena dei ribelli” ed è uno dei pochissimi a pronunciare la parola impronunciabile. Scissione. Però accompagnata da un aggettivo, «amichevole» che sembra una sfida, anzi un azzardo, in una famiglia dove si litiga su tutto.
Può spiegare la sua proposta, onorevole Monaco?
«Più che una proposta la definirei una provocazione audace. Parte dalla constatazione quotidiana della sofferenza di tanti colleghi parlamentari del Pd, a disagio con il profilo neocentrista del segretario Renzi. Sofferenza che causa discussioni continue e una ormai reiterata distinzione su tutti i temi del dibattito politico».
Adesso anche sulla legge di Stabilità.
«Appunto. Fino a che si divaricano le posizioni sulla legge elettorale e sulle riforme costituzionali si può capire, ma se ci si divide anche sull’azione di governo, sul lavoro, sulla scuola, sulla Rai, sulla concorrenza… allora la situazione diventa insostenibile e indifendibile in un partito degno di questo nome».
Come se ne esce?
«Sedendosi a un tavolo, prendendo atto delle differenze non componibili e separandosi da buoni amici, senza reciproci anatemi. Se ve ne saranno le condizioni, domani ci si potrà nuovamente alleare tra un centro renziano e una sinistra di governo sulla base di un programma condiviso ».
Buoni amici? Nel Pd?
«Ho detto, la mia è una provocazione audace. So bene che Bersani ha il mito, figlio del vecchio Pci, dell’unità del partito e che proprio in virtù di questo nell’attuale congiuntura politica si accontenta di esercitare il ruolo dell’azionista di minoranza. Ma so anche che Renzi è poco incline a una gestione partecipata e consociativa del partito ».
Un po’ poco per immaginare che «l’audace provocazione» diventi un ordine del giorno, non trova?
«Vediamo. Alla lunga bisognerà trarre le conseguenze di queste divisioni continue, su tutte le questioni che contano, incuranti di un vincolo politico prima ancora che disciplinare. Se riuscissimo a mettere insieme la prospettiva di una forza capace di raccogliere consensi a due cifre, allora anche Renzi potrebbe essere indotto ad affrontare la revisione della legge elettorale nel senso del premio alla coalizione piuttosto che alla lista vincente».
E se la sua provocazione cade nel vuoto che fa, lascia il Pd?
«No guardi, io non lascio il Pd se non per un’operazione politica maiuscola. Le fuoriuscite individuali sono liberatorie per il travaglio personale dei singoli, e come tali le capisco, ma politicamente ininfluenti ».
Eppure a sinistra del Pd c’è movimento. Vendola, Civati, Fassina...
«Ci sono soggetti più personali che collettivi, un ginepraio dal quale non sortirà granché: faranno una fatica enorme a mettersi insieme e, alla fine, passerà il messaggio di una sostanziale annessione a Sel. Io, vecchio prodiano e ulivista, assisto con disagio alla torsione centrista del Pd, ma sono disponibile solo a manovre politicamente utili alla costruzione di un centro-sinistra alternativo al centrodestra e ai populismi privi di vocazione e di cultura di governo».
Centro-sinistra? Torniamo a discutere del trattino?
«I trattini mi appassionano poco, quello che intendo è un’alleanza al modo del centro-sinistra storico, imperniato sull’asse Dc-Psi. Del resto, questo Pd renziano ormai si configura come un partito di centro moderato, in tutto diverso da quel partito di centrosinistra, nel solco dell’Ulivo, che avevamo pensato. Non è una cosa brutta, semplicemente diversa. Bisogna prenderne atto».