martedì 20 ottobre 2015

Repubblica 20.10.15
Breve elogio del manoscritto (a macchina)
di Guido Ceronetti


SFIDO, meschino, l’onnipotenza della malvagia vita: scrivere un articolo di giornale interamente con la macchinetta portatile, e su fogli di Carta Favini fuori commercio. Squisita e commestibile la carta, ma il nastro, bicolore purtroppo, è un cane centenario. Non so se mi riuscirà di percorrere per intero le carte nautiche di questo mio pallido Vasco de Gama, essenzialmente di celebrare la gloria unica dei manoscritti usciti di portatile nell’infame secolo in cui ho vissuto, e implicitamente anche la mia, che ho seguitato dal 1950 ad oggi (Signore, fino a quando?) a consegnare carte dattiloscritte agli Editori italiani.
Fertile di capolavori, il Ventesimo, i cui manoscritti originali hanno fatto e tuttora fanno negli Archivi un ingordo pieno. Mamma Portatile ha partorito fior di roba negli anni: il Voyage di Céline, tutto quando Simenon, l’omnia yiddish e americana di Isaac Singer, tutta la meravigliosa creazione di Herbert George Wells, Conversazione in Sicilia, Brancati, Verga, Sciascia, Piovene, Alvaro, Parise, Ungaretti, Saba, Montale, Merini… E Borges, Doeblin, Varlam Shalamov, Marina Cvetaeva, Achmatova, Proust, Mac Orlan, Osip Mandelstam, Lorca, Cavafis, Seferis, Kazantzakis, le sceneggiature di Elia Kazan, di Hitchcock, di Trumbo, e la finale battuta di Sonia in Zio Vania, e l’addio di Masha a Verschinin, culmini del pianto e Oswald Alving che per non infettare la sorella vuole che il Sole gli sorga dalla madre, e, i Diari di Jünger, e la Grande Guerra di Remarque, e il foglietto memorabilmente dimenticato che all’alba del 25 maggio 1946 un guardiano della Santé inchiodò sulla porta d’ingresso per annunciare a una piccola folla di curiosi l’esecuzione del dottor Petiot, assassino di un centinaio di vittime nel cortile di Rue Lesueur 21… Da noi, lo stupratore elettronico fu, se non sbaglio, Umberto Eco col suo bestseller del “Nome della Rosa”, in cui la nuovissima tecnica era genialmente combinata a un intreccio giallo in una libreria di manoscritti medievali. Nei trionfi di guerra i generali americani passavano sotto fitte piogge di fogli dattiloscritti lanciati dai grattacieli dalle dattilografe di New York.
Impossibile mi pare possa nascere un’opera di pensiero da uno strumento elettronico, naturale invece siano nati saggi fondamentali dalle portatili. Bergson, Rensi, Heidegger, Hanna Arendt, Gadamer, Jaspers, Wittgenstein, Schmitt, Berdiaev, Florenskij sono passati di là. E il lugubre ertotismo di rivelazione di Yasunari Kawabata. E anche, sciagura a noi, le carte scrupolose di Eichmann, i referti di Mengele, e tutto quanto Mein Kampf! Inaffidabilmente appassionati, le memorie storiche sulla rivoluzione russa di Trotkzij, furono lavoro di portatile, e non so in quali condizioni. Ma anche, quando al portone del fortino messicano si presentò Ramón Mercader (fratello occulto della moglie bis del nostro amato bigamo Vittorio De Sica, l’attrice Maria) con un arsenale impressionante sotto l’impermeabile, e aveva da porgergli, in lettura-trappola per distrarlo, alcuni foglietti ovviamente battuti sulla portatile, il vecchio capo rivoluzionario li prese con fiducia e inforcò gli occhiali.
Non mi pare che l’avvento delle scritture elettroniche abbia contribuito ad un minimo miglioramento etico del genere alfabetizzato. Ed ecco, ce l’ho fatta. Ora mi toccherà correggere a mano i miei ininterrotti errori di portatile di bandiera, e accendere un lumino per propiziarmi i correttori.