Repubblica 20.10.15
“Così ci difendiamo” Gli israeliani in coda per comprare pistole
Dopo “l’Intifada dei coltelli” e gli inviti delle autorità a “stare in allerta”, il governo ha alleggerito le misure sul porto d’armi
di Fabio Scuto
TEL AVIV Davanti alla LBH, una delle più fornite armerie di Tel Aviv, le macchine sono parcheggiate in doppia e in terza fila. Proprietari e addetti di questo negozio aperto nel 1949 faticano a gestire la lunga fila di clienti che si assiepano sulle vetrine interne, ingrombre di quasi ogni tipo di arma da fuoco. Di fronte all’ondata di attentati di queste ultime due settimane e il senso di insicurezza che ne deriva, molti israeliani hanno deciso di armarsi. Gli uffici che rilasciano le licenze sono sommersi dalle richieste ma sono anche state “allentate” dal ministro dell’Interno Gilad Erdan le disposizioni che consentono di portare un’arma: è sufficiente essere stati congedati col grado di sergente o aver fatto parte dei corpi speciali dell’esercito per ottenere la licenza. Condizioni non estreme in un paese dove la leva è obbligatoria e si resta nella Riserva fino ai 48 anni.
Le richieste di armi, conferma il gestore della LBH, «sono aumentate di quattro volte » e altri prodotti di “sicurezza” come gli spray al peperoncino sono andati esauriti anche nei magazzini in una manciata di giorni. Non tutti sono in fila per comprare un’arma. C’è chi deve rinnovare la prova di tiro al poligono che è obbligatoria ogni tre anni per una licenza dimenticata magari nel cassetto da dieci anni e chi ha soltanto bisogno di una nuova scorta di munizioni. Le richieste di utilizzare il poligono di tiro della LBH «sono aumentate del 50%, per giubbotti anti- proiettile e spray vari siamo oltre il 100%», spiega Yariv Ben-Yehuda, che è uno dei proprietari del negozio, «le nostre vendite di armi da fuoco sono aumentate del 30%». Le “Smith&Wesson” e le “Glock” sono tra i modelli più richiesti, ma anche la “Jericho” prodotta in Israele ha i suoi estimatori. I prezzi non sono proibitivi, si va dai 2.000 ai 4.000 shekel — da 400 a 800 euro — per una scatola da 50 munizioni bastano 120 shekel (24 euro).
«Abbiamo esteso l’orario del poligono di tiro», spiega Shaul Derby direttore del negozio, «il personale è nel negozia fino a sera inoltrata per gestire tutte le richieste». «Se c’è un accoltellamento o una sparatoria, un civile armato se è ben allenato può cambiare il corso degli eventi, fare la differenza fra un attacco dove ci sono dei feriti e uno in cui ci sono diversi morti», spiega ancora Derby, «ma se non ha la mano ferma e non è allenato, può fare solo danni». In coda ci sono uomini con i capelli bianchi. Uno è un chirurgo ultracinquantenne di Ramat Hasharon. «Da anni volevo il porto d’armi, ma non l’avevo ancora fatto, è l’attuale situazione che mi ha fatto decidere», spiega il dottore, «se qualcuno vuole ucciderti, uccidilo prima, accade così in tutto il mondo».
La legge israeliana stabiliva che oltre alle forze di sicurezza, soltanto i civili che abitano in zone a rischio, oltre la Linea Verde in Cisgiordania o a Gerusalemme, e coloro che lavorano come security per negozi, hotel, erano autorizzati a portare un’arma da fuoco. Circa 260.000 licenze su una popolazione di 8,5 milioni di abitanti, non erano molte. Ma da due settimane, da quando l’Intifada dei coltelli ha fatto la sua tragica comparsa, la richiesta di porto d’armi è schizzata in alto «di decine di volte» conferma un portavoce del Ministero degli Interni. Con gli uffici governativi sopraffatti dalle richieste in molti vanno direttamente nei negozi d’armi per capire se hanno i nuovi requisiti richiesti e compilare l’apposito modulo, che si scarica anche via internet dal sito del Ministero.
Gli israeliani sembrano aver ben compreso gli appelli a «stare in allerta». Del resto è stato il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat — ex delle Forze speciali — ad invitare i gerosolimitani a girare armati mentre si faceva riprendere dalle tv locali con il fucile mitragliatore in mano. Oltre la Linea Verde la maggioranza dei coloni — sia uomini che donne — ha un’arma alla cintura o nella borsa ogni volta che varca i cancelli del proprio insediamento.
Ma gli appelli all’autodifesa suscitano anche inquietudine. L’avvocatessa Smadar Ben Natan che guida una coalizione di gruppi contro l’uso delle armi che si chiama “Niente armi sul tavolo della cucina” fa notare che con le nuove disposizioni raddoppieranno rapidamente il numero di pistole e mitra in circolazione. «A lungo termine», conclude l’avvocatessa, «è evidente che se ci sono più armi c’è più pericolo di errore e meno sicurezza».
Nelle armerie le richieste sono quadruplicate: “Se qualcuno vuole ucciderti, uccidilo prima Funziona così in tutto il mondo”