giovedì 15 ottobre 2015

Repubblica 15.10.15
Check point e mitra nella Gerusalemme della terza Intifada
Viaggio nelle zone isolate dai nuovi check-point Kerry lavora ad un vertice Abu Mazen-Netanyahu
di Fabio Scuto


GERUSALEMME Il vecchio pick-up bianco arranca stanco sulla salita, la Abu Rabia Street che da Jabel Mukaber – il quartiere arabo più famigerato di tutta la Città alla fine si incrocia con Via Meir Nakar, dove inizia l’area residenziale quartiere ebraico di Talpyot. Due blindati dell’Idf messi a V sulla carreggiata “filtrano” l’uscita di auto e pedoni, la fila sulla strada è un serpente lungo un chilometro. Il capoposto fa cenno con la mano al pick-up di avvicinarsi e ai due passeggeri di scendere. Due soldati perquisiscono l’interno del mezzo, un altro fa annusare da un cane il cassone pieno di barattoli di vernice. Un quarto controlla i documenti. Due tiratori hanno nel mirino ogni mezzo che viene fermato. Ai più giovani i soldati chiedono di sollevare la maglietta in cerca di un possibile coltello. Jabal Mukaber – schiacciato su due lati contro il Muro di sicurezza – è la “patria” di cinque degli accoltellatori di questi giorni, il terreno di coltura di ogni tipo di attività illegale. Già in condizioni normali la polizia evita le tortuosità di questi vicoli dominati da clan violenti. E’ un quartiere conquistato nel 1967 e assimilato a Gerusalemme quando nel 1980 la città venne proclamata capitale dello Stato di Israele, ma ha l’aspetto di un termitaio, di un campo profughi. La mondezza, qui, è la vera padrona delle strade.
Il chiosco di falafel e kubbeh di Ammar, appena prima del check-point, è deserto di clienti. «Non si può chiudere qui, io ho clienti arabi e ebrei che vengono dall’altra parte della strada, questo è un vero disastro». Check-point come questo sono attivi dall’alba agli ingressi di tutti i quartieri arabi, la zona Est di Gerusalemme. Sono parte delle misure speciali assunte dal governo per fermare quest’ondata di attacchi col pugnale contro cittadini israeliani: ancora ieri pomeriggio un giovane di 14 anni ha tentato di accoltellare un soldato alla Porta di Damasco ed è stato ucciso, in serata in un altro attacco alla stazione dei bus è stata ferita una donna. Una scia di sangue che ha seminato la paura soprattutto nelle strade della Città Santa, perché gli oc- chi di tutti sono puntati sulle contese per la Spianata delle Moschee, il centro del conflitto israelo-palestinese. Il dispositivo militare messo in campo è certamente imponente, sono 4500 gli agenti di polizia, sostenuti adesso dai riservisti della Border Police e dell’Idf. In ogni centro commerciale, in ogni mercato, piazza, strada, di Gerusalemme si vedono divise. Che se per qualcuno dovrebbero infondere sicurezza, per altri invece aumenta invece il senso di inquietudine.
Le misure adottate consentono adesso alla polizia di chiudere, di isolare i quartieri arabi in caso di disordini e ordinare il coprifuoco. Ma gli specialisti della sicurezza sono molto cauti sul “blocco” nella convinzione che può solo aumentare la tensione. In una città con quasi 900.000 abitanti – circa 250mila sono i palestinesi - isolare le zone arabe non è solo una sfida logistica ma è anche economicamente problematica. Perché la maggior parte dei palestinesi lavora nella zona Ovest, come muratori, autisti, panettieri; negli alberghi, nei negozi e nelle stazioni di servizio. Isolare la parte Est è poi un’immagine che fa svanire l’idea di una Gerusalemme unificata. Perché da ieri c’è una “linea di demarcazione” virtuale che si estende per circa 12 chilometri, dal quartiere di Beit Hanina nel nord, costeggia i bordi della Città Vecchia e arriva qui a Jabal Mukaber nel sud. «Non credo che il governo israeliano voglia davvero farlo», sostiene Abnour, padre di cinque figli che vive a Abu Tor, un quartiere misto sulla demarcazione, «è come spararsi su una gamba, l’economia della città crollerebbe».
Le misure draconiane decise dal governo di Benjamin Netanyahu non hanno fermato la piazza palestinese, così come non è bastata la notizia, filtrata in serata, di un possibile incontro ad Amman fra Netanyahu e Abu Mazen organizzato dal segretario di Stato Usa Kerry. Da ieri sera corre su Facebook e altri social media arabi il tam-tam che proclama per domani un altro “venerdì della collera”.