Repubblica 11.10.15
Ichino: “Salario minimo per legge”
Il senatore Pd: parti sociali spaccate, sulla riforma dei contratti iniziativa del governo
“Gli accordi collettivi resteranno come rete di sicurezza su tutto tranne che sulle retribuzioni”
intervista di Luisa Grion
ROMA. Per Pietro Ichino, senatore Pd e giuslavorista, non vi sono dubbi in proposito: «Se sindacato e imprese non troveranno un accordo sulla riforma del sistema contrattuale il governo dovrà intervenire».
Senatore, non la ritiene una invasione di campo?
«Certo che no. La disciplina legislativa della materia è ormai vecchia di un mezzo secolo nel corso del quale è cambiato tutto: è ovvio che vada riscritta. Meglio se con un avviso comune da parte di sindacati e imprenditori. Purché concordino con il governo almeno sugli obiettivi generali e i vincoli da rispettare».
Non vede rischi in questa soluzione?
«C’è il rischio che accada la stessa cosa che accadde nell’estate 2011, con l’articolo 8 del decreto Sacconi, che consentiva al contratto aziendale di derogare a quello nazionale e anche alla legge. Confindustria, Cgil, Cisl e Uil dichiararono concordemente che non si sarebbero avvalse di quella facoltà. Questo, però, comporterebbe un rischio anche per le stesse confederazioni: cioè che pezzi sempre più numerosi del tessuto produttivo escano dal sistema di relazioni industriali che esse rappresentano».
Cosa accade se il governo decide da solo?
«Accade che, su iniziativa del governo, il Parlamento vara una nuova disciplina legislativa delle rappresentanze sindacali aziendali, con la regola per cui la coalizione sindacale che ne ha i requisiti di rappresentatività è legittimata a stipulare un contratto aziendale anche sostitutivo di quello nazionale. E con l’istituzione di un salario minimo orario universale, al di sotto del quale nessuno può andare».
Per le parti sociali cosa significa?
«I minimi salariali stabiliti dai contratti nazionali perdono la valenza che oggi viene attribuita loro dai giudici, di parametro per l’applicazione del principio di “giusta retribuzione”. E le imprese, staccandosi dall’associazione imprenditoriale, possono sperimentare strutture e livelli della retribuzione diversi da quelli previsti nei contratti nazionali, ovviamente nel rispetto del salario minimo orario».
Susanna Camusso, leader della Cgil, dice che senza il contratto nazionale ci sarà più povertà.
«Ma il contratto nazionale continuerà a costituire la rete di sicurezza, la disciplina standard a cui fare riferimento in tutti i casi in cui manchi un contratto più vicino al luogo di lavoro. Il punto è che deve poter essere derogato o anche sostituito dal contratto aziendale stipulato dalla coalizione sindacale che ne abbia i requisiti».
La Fiom minaccia lo scontro se salta il contratto nazionale. La pace sociale è a rischio?
«Non vedo questo rischio. Il problema di Landini è che i minimi tabellari fissati dai contratti nazionali sono troppo alti per il Sud e troppo bassi per il Nord. Col risultato che al Sud si genera disoccupazione e lavoro nero; mentre al Nord per aumentare le retribuzioni occorre comunque puntare sul contratto aziendale. È anche per questo che i contratti nazionali si rinnovano con tanta difficoltà».
Non pensa che sia rischioso indebolire i sindacati?
«Abbiamo bisogno di un sindacato forte, ma che faccia il mestiere del sindacato. Stabilire il salario orario minimo universale non è compito suo».
E qual è il suo compito allora?
«Nell’era della globalizzazione il sindacato deve essere l’intelligenza collettiva dei lavoratori che consente loro, innanzitutto, di ingaggiare il miglior imprenditore disponibile, da qualsiasi parte del mondo venga. Quindi deve essere capace di guidare i lavoratori nella valutazione del piano industriale e, in caso di valutazione positiva, nella scommessa comune con l’imprenditore».
Scioperi nei servizi pubblici: lei ha proposto una legge che i sindacati contestano. Il governo, secondo lei, deve cercare la mediazione o andare dritto per la sua strada?
«Le confederazioni maggiori dovrebbero, in realtà, essere le prime a rendersi conto della assurdità dello sciopero mensile o bisettimanale dei trasporti pubblici, oppure dell’assemblea sindacale che chiude fuori dal Colosseo migliaia di turisti. Se non se ne rendono conto, fa benissimo il governo a provvedere, nell’interesse della collettività».