domenica 11 ottobre 2015

Repubblica 11.10.15
Ritorno al socialismo
di Ian Buruma


LA COSA straordinaria di Jeremy Corbyn, l’outsider della hard left affermatosi alla guida del partito laburista britannico, non è la sua presunta mancanza di patriottismo. Che sia o meno disposto a intonare God save the Queen nelle occasioni pubbliche appare infatti un dettaglio di poco conto. Ciò che rende la sua ideologia straordinaria è il fatto di essere tanto reazionaria. Corbyn è un socialista di vecchio stampo, che vorrebbe spennare i ricchi e riportare i trasporti e le aziende di pubblica utilità sotto il controllo statale. La sua retorica sulla lotta di classe indica una totale rottura con la democrazia sociale tradizionale.
Nell’Europa del dopoguerra la democrazia sociale è sempre scesa a patti con il capitalismo. L’ideologia di sinistra si ispira, soprattutto in Gran Bretagna, più a tradizioni morali cristiane (“più metodismo che Marx”) che a qualsiasi dogma politico. Leader laburisti come Clement Attlee, il primo premier dopo la Seconda guerra mondiale, non erano contrari alle economie di mercato: volevano semplicemente regolamentarle in modo da promuovere gli interessi della classe operaia. Durante la Guerra fredda la democrazia sociale rappresentava nell’Europa occidentale l’alternativa egalitaria al comunismo. Attlee, ad esempio, era ferocemente anticomunista. Alle conferenze del partito laburista si ostentava adesione ai vecchi simboli del socialismo. I leader di partito cantavano l’Internazionale con gli occhi velati dalla nostalgia. E sino al 1995, quando fu abrogata da Tony Blair, la Clausola 4 della costituzione del partito prometteva “la proprietà comune dei mezzi di produzione” e il “controllo popolare” dell’industria. (Non è detto che Corbyn non proverà a ripristinarla). A livello di governo nazionale, però, i socialisti ideologici venivano lasciati in disparte per fare spazio a personaggi più pragmatici.
Quando Tony Blair, seguendo l’esempio dell’amico Bill Clinton, promosse la “terza via”, il socialismo sembrava morto e sepolto. Clinton e Blair, che avevano dato il cambio all’altra strana coppia anglo-americana formata da Ronald Reagan e Margaret Thatcher, intaccarono il tessuto della democrazia sociale stringendo compromessi che Attlee non avrebbe nemmeno sognato. Il genio di Clinton e Blair è stato abbinare un interesse per i poveri a una sconveniente riverenza nei confronti dei ricchi di Wall Street o della City londinese. Blair trascorse le vacanze con Berlusconi, Clinton elargì la grazia a ricchi compagni di merende permettendo loro di sottrarsi alla giustizia. Entrambi, lasciata la carica pubblica, hanno sfruttato la propria reputazione per arricchirsi. Si potrebbe dire che evitando compromessi con il capitalismo i leader della “terza via” abbiano finito per compromettere se stessi. Questo è uno dei motivi per cui con Corbyn la hard left è tornata al contrattacco strappando il potere a chi si era compromesso. Corbyn, soprattutto per i giovani, è il tanto atteso uomo delle convinzioni, “autentica” voce del popolo. Di fronte a un socialista vero i democratici sociali della soft-left rimanevano senza parole, non avendo mai posseduto una vera e propria ideologia.
È possibile che Hillary Clinton venga punita allo stesso modo? O che il centrosinistra che rappresenta perda il controllo dei Democratici? Secondo alcuni sondaggi il suo principale antagonista alle primarie — Bernie Sanders, autoproclamatosi socialista — si sta avvicinando alla posizione di apparente predominio di Clinton. Sanders, al pari di Corbyn (e di Donald Trump), possiede un’aria di autenticità e a differenza dei professionisti di Washington, abituati a seguire un copione, appare come un politico che dice ciò che pensa. Tuttavia non credo che vincerà. Non esiste una sinistra democratica radicale quanto quella dei seguaci di Corbyn. Rispetto a Corbyn, Sanders è un moderato. Ciò che una fazione militante ha fatto al partito laburista oggi viene fatto non ai democratici ma ai repubblicani. Con una differenza: i “ribelli” repubblicani sembrano più estremi di Corbyn. Per non parlare di Sanders. Il partito repubblicano rischia di finire nelle mani di fanatici che considerano il compromesso all’interno del governo una forma perversa di tradimento. Oltre ad essere radicali, gli aspiranti candidati repubblicani sono persino più reazionari di Corbyn. I loro slogan “riprendiamoci il Paese” o “rendiamo l’America di nuovo grande” suggeriscono un ritorno a un passato immaginario in cui né il New Deal né i diritti civili interferivano con la serenità dei virtuosi cristiani bianchi. Anch’essi apprezzano l’“autenticità” (vedi Trump) e sono in rivolta contro leader di partito considerati compromessi solo per aver cercato di governare a Washington Dc.
È troppo presto per prevedere quale sarà il candidato presidenziale repubblicano. Tuttavia catturare la guida di un partito è più facile che essere eletto presidente degli Usa. Anche in Gran Bretagna pochi si aspettano che Jeremy Corbyn vinca un’elezione nazionale; ecco perché il suo partito è così disperato. Malgrado una campagna elettorale sino ad oggi fiacca, e a dispetto di una diffusa percezione di inautenticità, o di palese evasività, alla fine Hillary Clinton probabilmente unirà il partito e ce la farà. Non perché le sue opinioni siano più convincenti di quelle dei professionisti della politica del centrosinistra laburista. Ma perché i suoi avversari appaiono peggiori.
(Traduzione di Marzia Porta)