giovedì 1 ottobre 2015

Repubblica 1.10.15
Ingrao, l’ultimo saluto con “Bella ciao”
I rimorsi di Occhetto: “L’avrei voluto con me”
di Tommaso Ciriaco


ROMA Amara terra mia, canta una piazza troppo vuota per l’addio a Pietro Ingrao. La bara, le bandiere rosse a un passo da Monteci-torio, le lacrime e il Presidente della Repubblica che si alza a “Bella ciao”. Il sole splende e la luce stona con la malinconia di chi è stato comunista e l’indifferenza del renzismo più rampante. Il Pci era un destino, il Pd chissà. Tutto resta come sospeso, finché Alfredo Reichlin non spezza l’equilibrio: «Questo Paese ha una storia – scandisce - eppure noi non l’abbiamo custodita bene. Perché volevamo la luna o perché non l’abbiamo voluta abbastanza? Non lo so». Il dilemma risucchia tutto: la fine del Pci, la classe dirigente dal Pds fino a Renzi, gli ultimi anni senza politica di Ingrao. Come a tentare una risposta impossibile, la nipote confida: «Il suo messaggio ai giovani? Fate la rivoluzione contro le ingiustizie”».
Da una mattonella lontana dal palco ascolta Achille Occhetto. Immobile. Gli occhi rossi, le unghie nere del tabacco, la giacca sformata. «Se avesse guidato la corrente di sinistra, ma dentro la svolta, mi sarei appoggiato a lui». E invece si soffre. Smarrimento solitario per l’ultimo segretario Pci – «il clima culturale, politico e morale del renzismo non c’entra nulla con la nostra storia» – disorientamento collettivo per Cuperlo e il resto della sinistra dem. E mentre Luca Lotti conversa con Ignazio Marino, e Maurizio Gasparri smanetta sull’iPhone (un trucco per ignorare “Bella ciao”), ecco il ricordo della famiglia. «Aveva un grande bisogno d’amore. E poi la sua passione per i dolci, le gare di nuoto e gli alberi in primavera». Poi tocca alla primogenita Celeste: «Vorrei poter dire “tranquillo, papà, continuerò le tue lotte”. Ma non è facile». Ancora un “non so”: «Ci siamo scambiati tanti dubbi sul senso della vita e della morte”, ammette don Luigi Ciotti. La politica c’è tutta, Matteo Renzi e le istituzioni. Vecchi compagni e avversari come Giorgio Napolitano. Massimo D’Alema no, è a New York. Piangono e sudano sotto il sole gli operai delle acciaierie di Terni, pugni chiusi ad ascoltare le poesie di Ingrao, tormentate, dedicate alla moglie. Fino all’ultima foto con la nipote: «Io, nonno, mia figlia di cinque anni. E tre pugni chiusi».