Repubblca 1.10.15
Arma finale del governo “Garanzie sui nodi finali o si mette la fiducia”
di Giovanna Casadio e Goffredo De Marchis
ROMA I diciannove voti segreti ammessi dal presidente del Senato sulla riforma costituzionale hanno fatto scattare l’allarme a Palazzo Chigi. E il clima da battaglia in aula ha fatto il resto. Nelle stanze del governo quindi si è riaffacciata l’idea di usare l’arma finale: il voto di fiducia. Finora solo una minaccia, ma fra le misure eccezionali annunciate qualche giorno fa dalla ministra Boschi per condurre in porto la legge, l’ipotesi di mettere in gioco la sorte dell’esecutivo e di Matteo Renzi non viene scartata. Anche se ieri nel primo giorno di votazione i numeri sono parsi tranquilli, il premier non si fida né della sua maggioranza, Pd compreso, né delle mosse di Pietro Grasso.
Alla Boschi è stato affidato quindi un mandato esplorativo. Prima dei funerali di Ingrao, la ministra e il presidente del Senato hanno avuto un incontro. Maria Elena Boschi ha chiesto rassicurazioni sul tabellino di marcia, Grasso ha confermato l’intenzione di valutare articolo per articolo l’ammissibilità della valanga di emendamenti e le richieste di voto segreto. D’altra parte il buongiorno si vede dal mattino, ed è subito chiaro che non ci sarebbero stati sconti nel percorso insidioso della legge. Evidente che Grasso avrebbe ammesso i voti segreti. Spunta così l’emendamento del dem Roberto Cociancich, grazie al quale la maggioranza e il governo “blindano” l’articolo 1, quello che disegna le funzioni del nuovo Senato. Una fiducia di fatto, l’hanno definita le opposizoni nella gazzarra che si è scatenata in aula all’annuncio e che proseguirà stamani nel momento in cui sarà messo ai voti.
Il governo ha sparato la sua prima cartuccia. Ma si avvicina il voto sul cuore della riforma, ovvero su come saranno eletti i nuovi senatori. All’articolo 2 può spuntare un nuovo emendamento stile Cociancich? Difficile. Perciò i timori del governo sono concentrati su quella che Renzi definisce l’ennesima «forzatura» compiuta da Grasso: ammettere la possibilità di modificare ulteriormente il testo dell’accordo raggiunto dentro il Pd e sintetizzato in un emendamento a firma Anna Finocchiaro. Il presidente del Senato ha infatti aperto a sub emendamenti, come chiesto da forzista Romani. Una procedura che di solito viene riservata solo alle correzioni proposte dal governo o dal relatore del provvedimento, che in questo caso non c’è.
Il punto è che potrebbe nascondersi, dietro quest’apertura, il pericolo di altri voti segreti. Il governo vuole evitarli a tutti i costi. Se non si troverà una soluzione tecnica che metta al riparo l’articolo 2 e il patto tra Renzi e Bersani, la minaccia della fiducia — ancora sullo sfondo — può farsi concreta.
È tutto un gettare acqua sul fuoco. Ma il Pd e il governo attrezzano la trincea: l’ok al terzo passaggio parlamentare della riforma della Costituzione deve avvenire entro il 13 ottobre, prima della legge di stabilità. Solo ieri mattina ci sono state quattro riunioni con il capogruppo Luigi Zanda, Boschi, Finocchiaro, il sottosegretario Pizzetti, Tonini, Russo. Sono servite a studiare le contromosse nella navigazione a vista che Grasso ha imposto al percorso della legge e che il Pd continua a non digerire. Come dimostra anche il dialogo a monosillabi tra Renzi e il presidente del Senato seduti accanto ai funerali di Ingrao.
Con la sinistra del Pd il clima si è molto rasserenato. Le prime votazioni di ieri hanno certificato che l’accordo regge. Però anche i piccoli segnali vengono tenuti sotto controllo. I “no” di Corradino Mineo, Felice Casson e Walter Tocci erano scontati. Meno quello di Vannino Chiti, convinto che i temi etici siano materia su cui si debba pronunciare anche il futuro Senato delle Regioni, e che perciò su questo ha votato in dissenso, con le opposizioni. L’intesa rischia di perdere altri pezzi? Se ne è parlato in una riunione di coalizione con Zanda, Schifani e Zeller (Autonomie). Calcolando anche i maldipancia dell’Ncd, che ieri ha dovuto riunire i senatori per serrare le file, si comprende che il grande margine di vantaggio ottenuto con i voti palesi non è poi così solido. E un passaggio a scrutinio segreto potrebbe svelarne la fragilità.