venerdì 9 ottobre 2015

La Stampa 9.10.15
Il prezzo salato che paga il Pd
di Federico Geremicca


Dimissioni sì, ma con possibile ripensamento. Ignazio Marino lascia (temporaneamente?) la guida del Campidoglio e nemmeno nel momento del passo d’addio contraddice il suo stile e il suo modo d’intendere l’impegno in politica: spigoloso ai limiti dell’arroganza, tenace fin quasi all’incoscienza, certo mai accomodante come sa esserlo - per scelta o per necessità - un cosiddetto «politico di professione».
Ora, a vicenda conclusa (o semiconclusa...) si può dire con più fondatezza quel che era apparso evidente da ormai molti mesi in qua: e cioè, che nella Via Crucis che il Pd ha dovuto percorrere per ottenere le dimissioni del «suo» sindaco, molto ha contato l’eccentricità della figura di Marino: un prodotto della società civile - un «cavallo pazzo», addirittura, secondo la definizione di molti suoi compagni di partito - che non ha mai accettato quella sorta di codice di comportamento che regola i rapporti nel mondo dei «professionisti della politica».
Altri, al suo posto, avrebbero capito per tempo l’aria che tirava, avrebbero concordato una «buonuscita politica» e tolto rapidamente il disturbo. Ignazio Marino invece no: inebriato dal consenso popolare («Mi hanno eletto i romani») ha governato la città chiudendosi fin da subito in uno sprezzante isolamento che lo ha reso distante dal suo stesso partito, il Pd: che infatti ieri, in tre righe di nota per commentarne le dimissioni (o semidimissioni...) non lo ha nemmeno ringraziato per l’impegno ed il lavoro svolto. Un «contentino», diciamo così, che non si nega a nessuno.
Non c’è molto da gioire, però, di fronte alla parabola e al tonfo finale di questo chirurgo prestato alla politica, perché una delle tentazioni possibili potrebbe esser - appunto - quella del ritorno all’antico (un antico che pochi rimpiangono): la cittadella della politica che torna ad alzare muri e a chiudersi in se stessa, affidandosi nuovamente ai soliti «professionisti». E non ha molto da gioire il Pd, più in particolare: e non solo per il grande prezzo politico che paga nell’arena di Roma, ma anche perchè vede confermate le pesanti difficoltà di «gestione» e rapporto con molti suoi sindaci e governatori provenienti in diversi casi - appunto - proprio dalla cosiddetta società civile.
L’elenco potrebbe esser lungo, e vale la pena di accennare solo a pochi nomi: Emiliano in Puglia, ormai lancia in resta contro Renzi; Pisapia a Milano, che annuncia a sorpresa la non ricanditatura mettendo nei guai Pd e centrosinistra; l’ingestibile Crocetta in Sicilia, l’irruento De Magistris a Napoli e lo «scandaloso» De Luca in Campania. E’ un elenco parziale, ma evidenzia un problema inedito per il Pd e il centrosinistra: scricchiolii e crepe (quando non molto peggio) con quegli amministratori locali - un tempo detti addirittura il «partito dei sindaci» - che hanno storicamente rappresentato la forza e le avanguardie della sinistra di governo in Italia.
Ignazio Marino era certo ormai indifendibile. La spazzatura, i trasporti e le buche per strada sono solo un pezzo dei problemi che ormai lo stavano affondando; l’altro pezzo - assai più imbarazzante - riguarda la sua eccentricità rispetto alla realtà che lo circondava. Un «marziano a Roma», si è scritto. E a stupire, negli ultimi mesi, è stata proprio la sottovalutazione da lui mostrata verso quel che faceva e diceva. E’ possibile per il sindaco di Roma polemizzare direttamente col Papa o gridare alla destra «tornate nelle fogne» o mentire deliberatamente sulle spese per pranzi e cene? E soprattutto: è possibile non cogliere la gravità di tutto ciò?
Ignazio Marino non l’ha colta, ed ha preferito affrontare le critiche ricevute snobbandole, rimettendo il disco rotto del complotto sotterraneo e rifugiandosi nella solita e discutibilissima trincea del «dopo di me il diluvio» (in questo caso: dopo di me, la mafia). Anche il suo passo finale, come detto, trasuda di una sorta di ingiustificabile inconsapevolezza: e che sia genuina o artefatta lo capiremo nei prossimi giorni.
Quanto al Pd ed al suo segretario, pagano oggi il prezzo di averla tirata troppo per le lunghe. Tentennamenti e rinvii, naturalmente, avevano ed hanno una spiegazione: evitare elezioni ravvicinate a Roma per il timore di perderle. La scelta, insomma, era tra la padella (Marino) e la brace (il voto anticipato): ma per tentare di evitare la seconda, hanno finito per cominciare a bruciarsi già con la prima. Con buona pace della città e dell’imminente Giubileo...