La Stampa 8.10.15
La Resistenza nel Monferrato di Fenoglio-Partigiano Johnny
Un libro ricostruisce le vere gesta dello scrittore, riportando alla luce personaggi straordinari come il comandante Tek Tek
di Lorenzo Mondo
È noto quanto sia presente in Beppe Fenoglio, seppure sublimata, la dimensione autobiografica, come la sua narrativa si nutra di una intensa esperienza della guerra partigiana. Lo scrittore e il partigiano che fu, sono in lui indissolubilmente legati. Meno noto, al di fuori degli studiosi, che una particolare aderenza del suo alter ego Johnny ai fatti della storia, e della cronaca, trovi espressione in un testo mutilo e scritto in inglese che Maria Corti ha intitolato Ur Partigiano Johnny: dove il prefisso tedesco caro ai filologi assume una valenza archetipica, primigenia.
In esso si raccontano le vicende del protagonista che, tra il marzo e l’aprile 1945, opera come ufficiale di collegamento con le missioni inglesi paracadutate in Monferrato. Una storia obnubilata dalla successiva assunzione delle Langhe native ad una assolutezza poetica e morale. Su questa materia indaga con fervore Sergio Favretto in un libro intitolato Fenoglio verso il 25 aprile narrato e vissuto in Ur Partigiano Johnny (Ed. Falsopiano, pp. 218, €19, con una densa, corposa, introduzione di Edoardo Borra). L’autore, di professione avvocato, ha già dato altri contributi sulla storia della Resistenza. E anche qui, il suo approccio è quello dello storico che intende ricostruire la partecipazione vera dello scrittore alla lotta di Liberazione nella sua fase finale. Senza minimizzare l’alone fantastico e la tensione narrativa del testo fenogliano, verifica capitolo dopo capitolo la rispondenza nella realtà di luoghi, fatti, personaggi. Una identificazione stringente, dove le imprecisioni non sembrano attribuibili a una libertà di ordine creativo ma alle dissonanze di un’opera in fieri.
Numerosi i riscontri inediti, in particolare quelli che riguardano i componenti della missione alleata e l’effettiva responsabilità attribuita a Fenoglio nei rapporti con gli ammiratissimi inglesi. Ma seducono il lettore soprattutto alcune figure di partigiani con i quali egli ebbe consuetudine di amicizia e di lotta. Primeggia tra loro Luigi Acuto chiamato Tek Tek, il capo leggendario di una brigata autonoma, uomo di schiatta contadina, prototipo del guerrigliero picaresco e spavaldo. Attraverso le ricerche di Favretto viene ricostruita la sua parabola, che dalle umili origini svetta nelle esaltanti imprese belliche per consumarsi, nell’avvilito dopoguerra: quando, cedendo all’alcol e dandosi ad equivoche attività commerciali, sembra rappresentare un tipico esempio di disadattato.
Il prete che andò ad assisterlo sul letto di morte, all’ospedale, ha raccolto le sue ultime parole che ne rifiniscono il ritratto: «Bsogna propi andè» (Bisogna proprio andare). E così le commenta, senza esagerare in simpatia: «Lui che sempre voleva dimostrare di essere sprezzante della vita, in quel momento non si sentiva più di lottare». Anche Dea, la partigiana che nell’Ur Partigiano Johnny appare vagheggiata da tutti per l’avvenenza e l’ardimento («È schietta, franca, e coraggiosa. Sarebbe stata una Giovanna d’Arco») ha un preciso riscontro nella realtà. Si chiamava Dea Rota, si era diplomata ostetrica ma non esitò a gettarsi nella guerriglia in Monferrato, diventandone protagonista. Rientrò poi nella vita normale, e fu sindaco di un piccolo paese. Ebbe al suo fianco, quasi come uno scudiero, l’aitante fratello Nick. Che raccontò in un diario la sua vita da partigiano, dove spicca la memorabile battaglia di Montemagno alla quale partecipò anche Fenoglio.
Quel 19 aprile del 1945, gli uomini del Tek Tek, ai quali si era aggiunta una brigata garibaldina, resistettero per ore all’assalto di ingenti forze nazifasciste dalle mura merlate del castello medioevale. Limitatamente al Castello, prima di ritirarsi i partigiani persero un solo uomo. Un altro testimone, allora ragazzo, racconta invece che davanti a casa sua venne posizionato un camion con molti cadaveri di fascisti e tedeschi: «Ricordo che mia madre medicò un ragazzo tedesco, amputato del braccio e sanguinante. Lo rifocillò, lo bendò con cotone ed asciugamano. Il giovane tedesco, a fine giornata, la baciò». Un episodio di inusitata pietà e gentilezza nel cuore di eventi terribili. È una delle varie storie raccolte da Sergio Favretto su Fenoglio e intorno a Fenoglio. Arricchendo un capitolo poco frequentato della sua biografia, dei fatti e del contesto che segnarono la sua ultima avventura.