lunedì 5 ottobre 2015

La Stampa 5.10.15
Molotov e proiettili
A Gerusalemme parte la terza Intifada
Scontri nel quartiere arabo, s’incendia la Cisgiordania
Netanyahu minaccia: “La stroncherò come fece Sharon”
di Maurizio Molinari

Molotov contro proiettili di gomma, shabab mascherati contro guardie di frontiera, barricate in fiamme contro unità speciali. E’ battaglia nel quartiere arabo di Issawiya, a Gerusalemme Est, quando i soldati bloccano la strada centrale per raggiungere la casa di Fadi Alloun, il palestinese di 21 anni ucciso ieri mattina a Musrara dopo aver accoltellato un ragazzo ebreo di 15 anni. Per la polizia israeliana si tratta dell’ultimo attacco terrorista di un’escalation di violenze che ha causato cinque morti in due settimane ma a Issawiya accusano gli agenti di aver «ucciso un innocente solo perché scappava braccato da un gruppo di estremisti ebrei».
Le opposte versioni sulla morte di Alloun sono lo specchio dell’«inizio della Terza Intifada» come la definisce Nahum Barnea su «Yedioth Aharonot», il cui epicentro è a Gerusalemme per il braccio di ferro sulla Spianata delle Moschee il Monte del Tempio della tradizione ebraica che vede Hamas e Jihad islamica palestinese incitare i palestinesi a «prendere le armi» e «diventare martiri» per difendere la moschea di Al Aqsa. In un video postato su YouTube con il titolo «Lettera numero 1» la Jihad islamica mostra propri kamikaze che indossano divise israeliane e salgono su bus di linea per farsi esplodere. È la minaccia di un’offensiva feroce e il premier Benjamin Netanyahu li avverte: «Se volete la Terza Intifada avrete il secondo Scudo di Difesa» ovvero una ripetizione della massiccia operazione con cui Ariel Sharon nel 2002 stroncò la rivolta. La Città Vecchia è avvolta da uno schieramento imponente di 3500 agenti per la decisione, senza precedenti, del governo di impedire l’accesso ai palestinesi non residenti o senza documenti israeliani: la Guardia di Frontiera presidia ogni accesso e le strade del quartiere musulmano, ferma qualsiasi sospetto. L’intento è esercitare il massimo della deterrenza per impedire attacchi come quello di sabato che ha causato la morte di due uomini, riducendo una donna di 22 anni in condizioni critiche con il figlio di 2 anni ferito.
La serrata
I commercianti del suk arabo reagiscono con la serrata e le violenze si spostano fuori Gerusalemme, incendiando la West Bank. I disordini iniziano al posto di blocco di Atara, a Bir Zeit, e nel campo profughi di Al-Arub, fra Betlemme e Hebron, continuano nel campo di Jalazun nei pressi di Ramallah e a Isawiyya. A Jenin lo scontro è armato perché le unità speciali circondano la casa di Qays al-Saadi, membro delle Brigate Ezzedin al-Qassam di Hamas, e vengono accolti con gli spari. Lanciano un missile anti-tank che distrugge l’abitazione. Almeno 18 i palestinesi feriti con gli israeliani che entrano nell’ospedale locale per arrestare Karm al-Masri, sospettato di coinvolgimento nei recenti attacchi. Battaglia anche a Surda, a Nord di Ramallah, dove c’è la casa di Mohannad Hallabi, il 19enne “martire” della Jihad islamica autore del duplice omicidio di sabato nella Città Vecchia. Sparano i soldati e sparano i palestinesi, con una folla di “shabab” che accorre alla casa di Halabi per ostacolare in ogni modo i militari. È la stessa strada di Surba dove, sabato notte, alcuni palestinesi hanno ballato per gioire dell’assassinio di Nehemia Lavie e Aharon Benita, 41 e 21 anni.
Bombe incendiarie
I palestinesi combattono con le bombe incendiarie: colpita una jeep a Halhul e una postazione militare a Bayt Umar. A Betlemme un soldato israeliano viene ferito. Fonti palestinesi parlano di «almeno 77 feriti da proiettili israeliani, veri o di gomma» al termine di una giornata di battaglia che vede «una dozzina di ambulanze della Mezzaluna Rossa aggredite e il personale malmenato». Ramallah parla di «provocazioni ed attacchi dei coloni a Nablus, Hebron e Ramallah» con il fatto più grave avvenuto a Buris dove «estremisti provenienti da Yizhar e Bracha hanno incendiato i campi dei villaggi arabi». Saed Erakat, segretario generale dell’Olp e braccio destro del presidente Abu Mazen, tuona da Radio Palestina: «Vogliono più sangue palestinese, ci difenderemo». Abu Mazen torna da New York accolto da ali di folla, imputa a Israele «l’escalation» e promette «nuove politiche per difenderci». Per Nafatali Bennett, leader dell’ala destra del governo israeliano, è la conferma che «Abu Mazen vuole la violenza, non lo Stato» tantopiù che «non ha condannato gli ultimi attentati». Netanyahu riunisce i consiglieri per la sicurezza, vara l’aumento delle demolizioni di case di chi compie attentati e preannuncia: «Guerra totale contro il terrorismo».