La Stampa 4.10.15
La futura collocazione del premier
di Giovanni Orsina
La straordinaria fantasia evoluzionistica della vita pubblica italiana ci ha fornito da ultimo una nuova specie politica, i «verdiniani», capace fin da subito di mettersi al centro di discussioni, polemiche, e perfino una gazzarra. Sul fenomeno in sé non c’è molto da dire che non sia già stato detto: la nostra antica vocazione trasformistica; la crisi del berlusconismo; un Parlamento liquefatto nel quale Renzi rappresenta l’unico ancoraggio, ma nel quale pure non ha una maggioranza solida; il rapporto «toscano» fra Renzi e Verdini; e via discorrendo.
I verdiniani tuttavia, proponendosi di irrobustire la gamba centrista del renzismo, e avendo per questo suscitato le reazioni della sinistra Pd, sono pure la spia di una questione più grande e interessante di loro: la futura collocazione di Renzi e del Partito democratico. Su questo punto vale la pena soffermarsi un po’: se come sembra la riforma delle istituzioni sta per essere completata, la ricostruzione della politica è ancora all’inizio. E il Pd, al momento, appare la pedina cruciale della politica che verrà.
Alla domanda se Renzi intenda tenere i Democratici ancorati a sinistra o portarli verso il centro secondo il modello del «partito della Nazione» do subito una risposta breve: a mio avviso il premier continuerà a tenersi aperte entrambe le opzioni e a giocare i centristi e la sinistra gli uni contro gli altri. E, se sarà infine costretto a sciogliere l’ambiguità, lo farà soltanto all’ultimo istante, a ridosso delle elezioni, cadendo da un parte o dall’altra a seconda di chi sarà allora l’avversario più pericoloso. Questa risposta scaturisce da un ragionamento che può essere riassunto in tre passaggi.
Il sistema elettorale, innanzitutto. Si continua a discutere di una possibile riforma del meccanismo approvato in primavera, tale che il premio di maggioranza andrebbe non più al partito, ma alla coalizione. Sbaglierò, ma mi sembra molto improbabile che ciò avvenga. Per il premier l’attuale legge elettorale è perfetta: marginalizza l’area alla sinistra del Pd, e di conseguenza previene scissioni fra i Democratici; getta scompiglio a destra; consente a Renzi di esercitare un controllo notevole sulla scelta dei candidati che lo sosterranno e quindi sulla sua potenziale futura maggioranza di governo.
Certo, c’è chi ventila l’ipotesi che in uno scontro diretto fra il Pd non alleato con nessun’altra lista e i grillini possa vincere il Movimento. E sostiene che la legge elettorale dovrà essere cambiata per prevenire quest’esito. Anche tralasciando i dubbi sulla plausibilità di queste previsioni, tuttavia, non è affatto detto che a Renzi per come ha dimostrato di pensare e vivere la politica l’idea di giocarsi una partita ultimativa, faccia a faccia, politica contro antipolitica, dispiaccia. Pure in quest’evenienza, insomma, l’attuale legge elettorale pare tagliata su misura per il presidente del Consiglio.
La mancanza d’ideologia, in secondo luogo. Il programma di governo Renzi se l’è trovato bello e pronto: tutto quello che avremmo dovuto fare negli ultimi vent’anni e non abbiamo fatto. Già di per sé questa «retorica del fare» gli ha consentito di mettersi al di fuori della frattura fra destra e sinistra. Lui è stato abile, poi, ad alternare iniziative considerate di sinistra con iniziative considerate di destra. Più le seconde delle prime, in verità ma soprattutto perché i temi in agenda portano più a destra che a sinistra: pressione fiscale, sicurezza, immigrazione, efficienza dello Stato. Sia detto incidentalmente, Renzi si sta anche dimostrando assai abile nell’aggirare con cura l’operazione di destra che la destra non ha mai fatto, della quale l’Italia avrebbe gran bisogno, ma che sarebbe politicamente onerosissima: tagliare davvero la spesa pubblica.
Infine la strategia. La levità della zavorra ideologica, un’azione di governo ispirata alla «retorica del fare» e priva di una chiara connotazione di destra o sinistra, un sistema elettorale che strangola i piccoli partiti e previene le scissioni: tutto questo consente oggi a Renzi di occupare uno spazio politico amplissimo, di spingere gli oppositori ai margini, di sfruttare in Parlamento molteplici opzioni tattiche. Non si vede davvero per quale ragione il presidente del Consiglio dovrebbe adoperarsi per abbandonare anzitempo una situazione così felice. Magari, come dicevo sopra, a ridosso delle prossime elezioni dovrà scegliere fra sinistra e centro ma lo farà all’ultimo momento. Anche in quel caso, poi, grazie all’attuale sistema elettorale potrà farlo non alleandosi con questo o con quel partito o fazione, ma scegliendo lui dove collocarsi. E controllerà la formazione delle liste. Nelle quali, riesumando la retorica della rottamazione, più che i centristi o i «sinistri» coi quali ha giostrato in questi anni potrebbe puntare a inserire soprattutto delle ragazzotte e dei ragazzotti di belle speranze e scarsa esperienza politica che gli forniscano una maggioranza disciplinata.