giovedì 29 ottobre 2015

La Stampa 29.10.15
Il Pd non può perdere la partita del Campidoglio
di Marcello Sorgi


Più che spingere per una soluzione, che ormai sembra sempre più difficile da trovare, il summit convocato ieri sera a casa del vicesindaco Causi, con il sindaco Marino e il presidente del Pd Orfini, doveva servire a evitare che il caso Marino si trasformi, appunto, nel caso Orfini. Il commissario del Pd romano, infatti, è sempre più stretto tra la resistenza del primo cittadino, che sta aspettando l’ultimo giorno utile, domenica, per ritirare le proprie dimissioni, e Renzi, che dal Sudamerica, dove si trova in viaggio, ha confermato che non intende dare a Marino l’onore delle armi, perché dubita che possa approfittarne per restare in carica.
Il premier questa storia avrebbe voluto chiuderla già l’estate scorsa, quando invece fu Orfini a convincerlo che il licenziamento del sindaco era praticamente impossibile e conveniva rinnovare la giunta e cercare di recuperare il governo della Capitale. Tre mesi dopo Orfini ha dovuto convenire che non esistevano le condizioni per far proseguire l’esperienza del sindaco «marziano», e ha impiegato tutte le sue energie per portarlo alle dimissioni. Ciò che era difficile immaginare, al momento in cui la vicenda sembrava conclusa, e la discussione si era spostata sulla scelta del commissario che dovrebbe gestire l’amministrazione romana di qui alla primavera e a nuove elezioni comunali, era che Marino ci avrebbe ripensato e, dopo il chiarimento avuto con i magistrati sul problema delle sue note spese, avesse fatto intendere che è pronto a ritirare le dimissioni, anche se questo costringerebbe il Pd a sfiduciarlo nell’aula del Campidoglio.
Orfini ha prima reagito con durezza, ottenendo dai 19 consiglieri comunali del Pd un documento in cui sostanzialmente dava lo sfratto al sindaco, poi, di fronte all’irremovibilità di Marino, ha accettato l’ennesima mediazione, sapendo di non aver nulla da offrirgli in cambio, ma confidando sul fatto che alla fine avrebbe capito che la crisi politica tra lui e il partito non poteva essere risolta in nessun modo e si sarebbe rassegnato all’uscita di scena. Una previsione troppo ottimistica.