La Stampa 28.10.15
Unioni omosessuali. Adesso il Parlamento è obbligato a muoversi
di Vladimiro Zagrebelsky
La lotta politica e giuridica tesa a ottenere che venga riconosciuta in Italia la possibilità per le coppie omosessuali di vedersi ammesse al matrimonio si svolge da tempo su diversi terreni.
Vi è quello vasto del dibattito pubblico e quello più specifico delle iniziative giuridiche, che fanno leva sul ventaglio degli strumenti che sembrano utili allo scopo. Da questo punto di vista la pluralità di giudici che possono essere richiesti di pronunciarsi consente di sperare che possibili difformità di giudizio forniscano qualche decisione utile allo scopo e comunque contribuiscano a dar forza alla richiesta di intervento legislativo.
Non vi è nulla di anomalo nell’uso di tutti i mezzi giuridici disponibili e, tutto sommato, neanche nel fatto che i giudici adottino interpretazioni diverse del complesso quadro legislativo. Ma l’anomalia sarebbe evidente e grave se il sistema non conoscesse un momento di razionalizzazione e risoluzione dei contrasti, con una statuizione definitiva e unitaria. Nel caso controverso della trascrivibilità nei registri dello stato civile italiano di matrimoni omosessuali intervenuti all’estero in Paesi che li ammettono, la parola definitiva è ora giunta con una sentenza del Consiglio di Stato. La sentenza ha affermato che la legge italiana non ammette i matrimoni omosessuali e che tali matrimoni riconosciuti all’estero non sono trascrivibili in Italia. I sindaci nella materia dello Stato Civile operano come ufficiali di governo e non come vertici dell’ente comunale, con la conseguenza che sono soggetti al controllo del ministero degli Interni. I prefetti hanno potere di annullamento di trascrizioni che sono atti illegittimi ed anzi addirittura giuridicamente inesistenti. I passaggi argomentativi che sostengono la sentenza del Consiglio di Stato sono complessi e certo saranno oggetto di analisi e commento tecnico-giuridico. Ma non si può negare la ragionevolezza delle conclusioni cui è giunto il Consiglio di Stato, che è un giudice che applica le leggi vigenti e si preoccupa del sistema che esse definiscono. Basta sottolineare l’assurdità della pretesa di alcuni sindaci di decidere secondo il loro proprio orientamento, rifiutando di sottostare all’autorità gerarchica da cui, nella materia, dipendono e dando luogo ad un sistema per cui si potrebbe esser sposati oppure no a seconda del Comune (e sindaco) ove si è richiesta la registrazione. Le fughe in avanti propagandistiche hanno forse contribuito all’individuale immagine pubblica di quei sindaci e hanno attirato l’attenzione sul problema, come è caratteristico degli atti politici, ma non l’hanno risolto. Resta l’esempio negativo di un ribellismo improprio da parte di pubblici funzionari, come sono i sindaci nelle loro funzioni in tema di Stato Civile.
Sul piano della legge vigente è dunque giunta la parola fine. Ma la questione non si chiude evidentemente qui e il tema dei matrimoni omosessuali esteri è solo un aspetto di quello generale. Essa è stata sollevata come grimaldello per ottenere la soluzione del problema, che resta aperto e urgente. Tocca al legislatore, che normalmente non è tenuto a provvedere, può aspettare, rinviare, omettere. Ma in questo caso il Parlamento ne è obbligato, non solo per l’evidente serietà del problema, ma anche perché a ciò è stato richiamato dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti umani. Le due Corti hanno da tempo preso una posizione coerente, muovendo da basi giuridiche diverse: la Costituzione per la prima e la Convenzione europea dei diritti umani per la seconda.
La Corte costituzionale ha affermato che il matrimonio su cui si fonda la famiglia, secondo l’articolo 29 della Costituzione, è l’unione di persone di sesso diverso. Ma ha aggiunto che le unioni omosessuali sono tutelate dalla Costituzione; esse hanno «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Il riconoscimento giuridico, secondo la Corte costituzionale non richiede necessariamente l’equiparazione al matrimonio, come dimostra la varietà delle soluzioni adottate dai vari Paesi europei. Le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni omosessuali, che il Parlamento è chiamato a definire, dovranno essere ragionevoli anche quanto agli aspetti che richiedano un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale.
Sul piano del diritto europeo dei diritti umani, cui l’Italia è legata, da un lato si afferma che la soluzione di ammettere i matrimoni omosessuali è possibile, ma non obbligatoria per gli Stati e dall’altro però si dice che le unioni omosessuali stabili danno origine a una «vita familiare» il cui rispetto deve essere assicurato da idonea legislazione.
A queste indicazioni il Parlamento è vincolato. Il ventaglio delle soluzioni possibili è ampio e si vede come in materia sia vivace il dibattito ed anzi lo scontro politico. Ciò che però non è più ammissibile è il perdurare di un lungo ritardo, che isola l’Italia nel panorama europeo e lascia senza riconoscimento e tutela coppie di persone che hanno diritto di ottenere l’uno e l’altra.